Edizioni La Baronata


Episodio 22.

In cui un potenziale terrorista s'interessa ai meccanismi per provocare le valanghe.

di Daniel de Roulet
Episodio 1.

Nel penitenziario, Tsutsui aveva due soggetti di studio da mettere sotto il suo microscopio personale: le zampe delle mosche in estate e i cristalli di neve in inverno.

Ogni cristallo possiede una struttura esagonale, ma ne esistono parecchie centinaia di tipi. Le forme variano dal bastoncino alla stella, passando per la colonna vuota e l'ago. Quando viene calpestato, ogni cristallo produce un suono diverso. Il nevischio non tintinna come le placchette. La brina opaca delle profondità suona più chiara dei cristalli a bussolotto.

Tsutsui esigeva dagli altri detenuti che rispettassero una superficie di neve vergine nel cortile. Per i suoi prelievi. Faceva osservazioni sulla natura dei grani, sulle metamorfosi degli stati della neve, sulla massa volumetrica e il diametro medio dei cristalli.

Intratteneva con l'Accademia della neve di Sapporo una corrispondenza scientifica, sperava di veder il suo nome associato a un cristallo che avrebbe scoperto là, nel cortile, lontano dalle condizioni estreme e dalle valanghe gigantesche. La letteratura scientifica si sarebbe ricordata di lui come onora il Grande blu, la farfalla che Nabokov ha scoperto in America del Sud.

Quando la notte nevicava, Tsutsui si rallegrava di andare a fare un prelievo nel cortile. I detenuti trovavano bizzarra la sua passione per la neve vergine, ma la rispettavano. I secondini da parte loro sono degli svitati. Orinavano nel suo quadrato, lo calpestavano.

Dopo che cinquantadue detenuti avevano firmato una lettera per l'amministrazione centrale i secondini l'hanno lasciato in pace. Una petizione per salvaguardare un metro quadro di neve vergine! Hanno preteso che vi nascondesse delle armi, si sono vendicati centuplicando con altre vessazioni e corvè. Lo chiamavano Tsutsui-la-neve, come se fosse rinchiuso per traffico di cocaina.

Ancora cinque curve, Tsutsui le conta sollevando la testa, grazie ai picchetti piantati nella neve. Percorre la pista blu, per sciatori principianti, sul fianco del pendio, in linea retta per un chilometro. Poi fa un angolo acuto e ricomincia. Più si innalza e più la temperatura si abbassa.

Lo scricchiolio della neve sotto i suoi passi sale di tono. Bisogna cercare di seguire la pista damata per non sprofondare. Più in basso la neve era dura perché sotto, dopo un leggero calo di temperatura, si era formato un sottostrato ghiacciato. Qui, neve polverosa in quantità, schiacciata sulle piste, traditrice fuori. Con i cinque centimetri di neve fresca caduta a fine pomeriggio, la superficie si presenta uniforme.

Occorre dunque seguire da molto vicino i picchetti blu che segnano il probabile posto di un passaggio damato. La suola si vede appena. Quando si esce dal perimetro, si smuove di colpo la neve polverosa fino al ginocchio.

Al prossimo picchetto blu, riparte nell'altra direzione. Da qui la vallata di Davos sembra una valle chiusa tra due catene di montagne che si stagliano contro il blu della notte. La via lattea conta miliardi di stelle, Tsutsui ne vede solo una porzione, il resto è nascosto dal rilievo.

Ad ogni metro che sale, il cielo scopre un po' della sua immensità. Una quinta di teatro che sprofonda nel palcoscenico. Non un rumore, appena uno scricchiolio regolare della marcia che risveglia i pensieri.

Concentrava i suoi studi sulla metamorfosi dei cristalli. A proposito della neve in grande quantità, quella che provoca le valanghe, è rimasto alla teoria, non avendo accesso al tetto della prigione, dove si formavano degli strati particolarmente interessanti.

Studiava dunque a distanza i tre tipi di valanghe successive: valanga di neve recente, valanga di placca e valanga di scioglimento. Era capace di dimostrare che ogni valanga era riconducibile a uno di questi tre tipi. Per quanto riguarda la meccanica dello stacco, sosteneva che la neve era un fluido viscoso.

Questa notte, ad ogni passo, schiaccia non solamente milioni di cristalli, ma contribuisce a modificare in profondità la viscosità dei sottostrati.

Non deve pensarci troppo, altrimenti resterà paralizzato. Talvolta è meglio non sapere troppo, fingere l'ignoranza, conferisce al mondo più mistero. Allora si chiama la neve come fanno tutti: il grande mantello bianco.

La si calpesta senza secondi fini, per arrivare il più presto possibile sotto il ripetitore delle telecomunicazioni, farsi vedere e ridiscendere.

(continua)

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Copyright © 2001 Daniel de Roulet per la versione originale francese

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