Edizioni La Baronata


Episodio 2.

In cui si scopre la vita che Tsutsui faceva in prigione.

di Daniel de Roulet
Episodio 1.

Tsutsui immagina la segretaria del primo ministro che cerca di raggiungere il direttore della banca centrale: non siamo in grado di inoltrare la vostra chiamata. Poi lo stesso primo ministro del Giappone senza collegamento con la sua amante, che si masturba davanti al lavabo della camera d'albergo. Chiederanno i danni e gli interessi agli organizzatori del Forum. Si diranno vittime degli anti-mondialisti, dei terroristi, dei frustrati della crescita e degli altri rifiuti della civiltà senza futuro. Tutto questo per un treppiede un po' storto.

Quest'estate Tsutsui avrebbe potuto scavare un buco di un metro sotto la sua base. Avrebbe sistemato la bottiglietta e il comando a distanza. Avrebbe accuratamente coperto il tutto, i sassi sotto, quattro zolle di terra sopra, compreso il muschio e una zolla d'erba per le mucche.

Questo genere di carica non teme né l'acqua né il gelo. Persino la pila è garantita un anno a trenta gradi sottozero. Aspetterebbe solo un segnale, come una chiave che apre una serratura e dice alla carica di diserbante: alzati e cammina, è l'ora. Una volta aperta la serratura, il timer accorderebbe una mezzora di tregua, il tempo per l'artificiere di mettersi al riparo.

Seduto sulla panchina, Tsutsui spia i rumori della notte, ode solo il suo respiro meno sollecitato che da una partita di pallacanestro nel cortile del penitenziario. Dietro gli alti muri, spiava le sirene del porto. Prima quella di mezzogiorno e delle sei, ma anche altri segnali più misteriosi.

Tra i detenuti, alcuni conoscevano le abitudini del porto, pretendevano di sapere di quale porta-container si trattasse. Inutile disilluderli informandoli che quella nave non esisteva più. In prigione non si invecchia, si custodisce nel proprio intimo il mondo che si è lasciato, con le sue navi e le sue idee.

Solo uscendo ci si sente antiquati. Quando ci si accorge che i biglietti della metropolitana hanno cambiato colore, che ora la gente si rasa la testa senza ragione o porta di nuovo i pantaloni a zampa d'elefante. Solo la rabbia contro l'ordine delle cose resta intatta, contro coloro che senza diritto si proclamano padroni del mondo.

Di giorno, Tsutsui non pensava mai a evadere. Ma di sera le sirene del porto attizzavano l'invito a prendere il largo. Si addormentava convinto che una gru del piroscafo tendesse il suo braccio sopra il muro di cinta, agganciasse il suo letto e lo deponesse accanto alla sua amata.

Lei gli aveva fatto visita ogni mese, durante gli otto anni di penitenziario. Gli raccontava in dettaglio la vita della loro figlia. Si era abituato all'idea di un bambino che non si vede crescere. Anche lui non aveva conosciuto suo padre. Ora sa che quel tipo è passato dall'altra parte, nel loro campo trincerato. Un nemico.

Questa volta non lo prenderanno. Non concederà loro l'occasione di un nuovo simulacro di processo. Il giudizio di quelle persone non lo tocca. Si sono trincerati laggiù, protetti dai loro fili spinati e dai loro poliziotti. Si ritroveranno tagliati fuori dal mondo, senza i fili che li collegano alle loro bucalettere elettroniche, ai loro amori a pagamento, ai loro incarti truccati. I lupi vorranno abbandonare la tana. Oppure si sbraneranno tra di loro.

Tsutsui avrebbe potuto mescolarsi ai manifestanti, come ha fatto a Seattle. Una folla gioiosa venuta da tutto il mondo, consegne passate dietro il passamontagna, indirizzi che vengono scambiati, musica che si ascolta assieme. Ma anche interminabili attese dietro i cordoni di polizia, fortezze imprendibili, cariche impotenti e il panico di farsi arrestare.

Di fronte ai manifestanti, il nemico non si mostra allo scoperto, manda i suoi poliziotti e vorrebbe che le persone come Tsutsui paghino ancora una volta di persona. Da Seattle ha imparato la lezione: smascherare il nemico, sì, ma mai più allo scoperto.

I sabotaggi simbolici non hanno bisogno di commenti. Mirafiori Tsutsui vi saluta e vi prega di considerare la distruzione del ripetitore delle telecomunicazioni sopra Davos come una parte della lotta per liberare l'umanità dai suoi detrattori, il pianeta dai suoi inquinatori e dalle sue forze di occupazione.

Viva la zona di autonomia temporanea. Le forze speciali sono pregate di abbandonare Davos senza condizioni. E di rendere il posto ai pastori di montagna, ai surfisti, agli ex-prigionieri delle vostre case di correzione. E subito!

(continua)

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Copyright © 2001 Daniel de Roulet per la versione originale francese

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