Edizioni La Baronata


Episodio 5.

In cui ci si stupisce degli insulti che un Asiatico eccitato ha rivolto a Max.

di Daniel de Roulet
Episodio 1.

Max e Frénésie sono seduti nel letto, uno accanto all'altra, come se avessero appena fatto all'amore. Le loro dita intrecciate, i loro sorrisi complici, la loro nudità assoluta. Ma per la morale, non è ancora accaduto nulla. Qualche carezza intima, lei sul suo sesso, lui attorno al suo, ma nulla di irreparabile.

Sul comodino, tre sacchetti rosa in perfetto stato. Lei dice:

- Mi sei piaciuto subito, appena entrato nel salone. Auf dem ersten Blick. Al primo sguardo, solo questo conta.

Fino a poco fa lui pensava che dopo cinque minuti sarebbero finiti sotto la doccia, lei si sarebbe rivestita, sarebbe tornata nel suo chalet a vedere la figlia addormentata, si sarebbero rivisti forse, oppure avrebbe deciso che Max non era il suo tipo. Che i Neri fanno l'amore meglio dei Bianchi, oppure che... Ma qui è un'altra storia. Una donna che pretende di parlare d'amore prima di farlo, è quasi impudico al giorno d'oggi. Tenta scioccamente di verificare, chiedendo se è proprio vero. Quattro anni e mezzo senza fare all'amore?

Lei gli si striscia lungo il ventre, lo tocca dappertutto come se volesse impararlo a memoria. Nel frattempo il sesso di Max si è afflosciato, ma gli sembra di desiderarla più di prima. Le racconta di quando era bambino e suo padre invitava un uomo d'affari nero, il giorno dopo andava a controllare se le lenzuola non erano nere. Lei lo interrompe:

- E tu dovevi constatare che tuo padre aveva ragione. Vedrai, domattina queste lenzuola saranno nere. Noi negre, lasciamo sempre un po' del nostro cuore nero nei letti in cui passiamo.

Max ne approfitta per chiederle se il padre di sua figlia è un Nero. Lei dice:

- Tu cosa credi?

Ma non soddisfa la sua curiosità. Poi gli lancia un sorriso così bello che, anche senza essere andato a letto con lei, sente questo sguardo attorcirgliargli il cuore più di quanto avrebbe voluto. Parlano della scena svoltasi verso le cinque del pomeriggio. Lei dice di averlo visto al telegiornale della sera:

- Ti si vedeva in primo piano, protetto da un cordone di polizia. Tu, all'interno del perimetro. All'esterno, una folla di manifestanti. Un Giapponese, col viso deformato dall'odio. Lo si vedeva indicarti col dito. Gridare il tuo nome. Non mi ricordo più esattamente. Gridava il tuo nome, sembrava conoscerti.

No, Max non lo conosce. Il manifestante conosceva il titolo della sua conferenza di domani: «Dal Maggio 1968 al Settembre 2001». Facile, si trova su Internet, forse persino con la foto. Senza essere un personaggio pubblico, Max non è completamente anonimo. È socio dello studio di architettura MNOP di New York, incaricato della costruzione di magazzini per merce in transito. Uno specialista mondiale.

- Sì, ma perché Max, perché quel Giapponese ce l'avrebbe proprio con te?

Max pensa che in guerra occorre dare un viso al nemico, trovare delle figure espiatorie. Lo si faceva anche nel 68. Ognuno costruiva le proprie teste di turco, ma Max non si aspettava di diventarlo. Aveva esitato molto a venire a Davos, non fa più politica, corre la maratona, tenta di essere onesto con i suoi contemporanei e di costruire i magazzini meglio adatti ai bisogni.

Frénésie dice che Max ha l'aria di un tipo assolutamente libero. Lo prende per un complimento, anche se non vede cosa glielo fa dire. Lei è almeno altrettanto libera. Quanto a questo imbecille di Giapponese, appartiene all'altro mondo, quello all'esterno.

Ogni generazione deve costruirsi il proprio spazio. Quella del Nipponico deve fare ancora un lungo cammino prima di installarsi nelle poltrone occupate dalla generazione degli anni sessanta.

(continua)

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Copyright © 2001 Daniel de Roulet per la versione originale francese

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