SANCHINI Giobbe
Sant'Angelo in Lizzona 6.10.1887 da Gaetano e Marianna Barbieri - Pesaro (ospedale) 24.12.1951
Sposato con Irma, deceduta nel 1925.
"Ho di mio padre un grato ricordo. Uomo economo, laborioso, onesto, conformista, non troppo credente... Nel '98, undecimo della mia vita, mi ammalai di tifo. Presentivo il mio ideale politico? Non credo, l'ambiente non era propizio... A Lucerna LU nel lontano 1901, quando ancora infuriava la caccia all'anarchico, dopo il regicidio di Bresci, io bazzicavo un gruppo di giovani amici con i quali, per qualche anno, distribuimmo giornali ed opuscoli anarchici, preparando qualche conferenza. I giornali erano “Il grido della folla”, “Il Risveglio”, “L'Aurora”, “Il Libertario” e, tra gli opuscoli ricordo “Presso il letto di morte di un anarchico”. La domenica si andava da Franco a giocare “il taglio” e nell'autunno, con “l'aria da fagotti”, alla stazione ferroviaria a vendere orologi agli italiani che rimpatriavano. Le vincite del gioco, i modesti proventi di quel commercio improvvisato servivano per l'acquisto dei giornali, degli opuscoli ed altro... Non si guardava per il sottile - Eleganza ed audacia era il nostro motto. In quei tempi a Montreux VD conobbi Luigi Bertoni. Lo seguii di conferenza in conferenza a Vevey, Losanna, Ginevra GE. Ormai ero sicuro del fatto mio e, ovunque andavo, suscitavo discussioni, raggruppamenti, iniziative più o meno felici … Il Primo maggio, forse del 1906, a Niederlenz, mia prima conferenza. Ci misi un po' di tutto, un vero mosaico, cementato di entusiasmo, confortato di molta indulgenza del pubblico, il quale fu prodigo di consensi quanto la polizia cantonale di persecuzioni ed inseguimenti. Anche quelle notti col mio compagno inseparabile Salvatore (Di Luca), ce la dovemmo dare via a gambe levate, senza un soldo, con molta fame, per la strada che da Aran (o Arau) conduce a Lucerna, nostro quartier generale. Quattordici mesi prima, nelle stesse condizioni (si era fatto) e compagnia, si era fatto da Montreaux a Losanna, Berna, Alten, Lenzburg, con qualche tappa all'albergo della Luna … Di sera, dopo 47 chilometri di viaggio pedibus calcabus, parte dei quali sotto un'acquereggiuola fitta ed esasperante, arrivo ad Hocford (non garantisco l'esatta ortografia di questi nomi). Non ne potevamo proprio più! Ma ecco il miracolo: - Pagnacca, tu qui? Ca t'vegna un azzident, come stai? - Bene, boia di signur, e tu? - Eh, lo vedi ….! Bene, Bene! Era un vecchio amico conosciuto ad Engelberg. Qui cominciano i guai …. Sento una punticciata in una costola. Era quell'affamato di Salvatore il quale, con quel mezzo, voleva suggerire che confessassi subito all'amico i crampi dell'appetito. Ma io non osavo. Altro spunticcione. Per la incolumità del mio costato, Pagnacca, con mirabile intuizione, ci domandò se avevamo bisogno di mangiare. Alla mia risposta esitante, Salvatore fece seguire un sinistro tale da decidermi al gran passo. Nella “Cantina” ci mangiammo non so quante pagnotte e fritture. All’indomani altri 47 chilometri per Lucerna. Eravamo finalmente entrati nel “nostro” ambiente dove, i nostri compagni, nella sala “Christus” presentavano al pubblico e foraggiavano gli astuti Tancredi, Mussolini, Libero Merlino (?) ed altri rinnegati. Però, capitavano anche i buoni, gli onesti, Bertoni, Balabanof ed altri. Era il 1906, la fine dell’anno, ed ecco, dopo 5 anni, sempre con Salvatore al fianco, il ritorno al natio borgo che, in quel tempo, non era selvaggio. Anche lì “leggera” propaganda a gonfie vele. Si faceva un gran baccano. Una decina di compagni, in un paese come quello, era una specie di incontrastato dominio. Ma ecco, a turbare l’idillio, una nottataccia di carnevale, degli ignoti, penetrano nella Chiesa Parrocchiale, ammucchiano panche, sedie, candelabri, paramenti, tutto quello che trovano e ne fanno un falò: un finimondo, un errore. Chi era stato? Nessuno lo sapeva. Ma per quei poveri devoti e quelle beghine gli autori di tale scempio non potevano che essere che Salvatore, io, Calisto (Corina) e Gaetano (Crescentini). Eravamo, anche nei dintorni, segnati a dito. Oh di questo, ognuno sapeva, che non era il caso di pensarci! Benoffi, invece, il nostro amico paralitico, il cui stambugio era anche il nostro covo, non sapeva come rimediarvi. Lo tolse d'impaccio la nostra dispersione che ne seguì.
Calisto e Gaetano in America, io due anni di vita militare, la quale, a dire il vero, non passai molto male, se non per il dolore della morte di mio padre avvenuta in quel tempo.
Nel 1909 ero congedato. Era l'anno che il governo dei preti di Spagna aveva assassinato Francisco Ferrer. Grandi agitazioni dovunque. Poco dopo, me ne andai ad Ancona due mesi con Gavilli. Anche allora.... cose da chiodi. Era il tempo che gli anarchici avevano la coda.... Ma non era così lunga come quella di certuni di oggi. Gavilli correva le Marche a tenere conferenze dai titoli suggestivi come questo: “La borghesia difesa da un anarchico”. E che conferenze. Ad Osimo, nell'anniversario della morte di Francisco Ferrer, innalzarono Gavilli, dopo un suo trascinante discorso, sulle spalle, per la piazza, in trionfo. A Loreto, una sera piovosa, ci offersero la sala i repubblicani. Gavilli fece la storia del risorgimento, esaltando l'eroismo repubblicano, mandando in visibilio il pubblico. L'oratore sottolineava il dispetto, il risentimento e la protesta dei repubblicani, quando nel '70, la Monarchia s'impancò sui destini d'Italia e sul sangue di essi. “I repubblicani – diceva – avevano giurato la riscossa all'ora propizia- Nell'attesa fremeva. Ed ecco, tardi, l'ora viene. Carpe diem!, Ma dove erano, cosa facevano i repubblicani? Essi si nascosero nelle cantine, conigli, vigliacchi e traditori”, squillava la voce di Gavilli e sulle facce di quei buoni repubblicani si dipingeva un segno di vergogna e di stupore sì che faceva pena a guardarli.... Siamo nel 1911, poco prima della guerra coloniale. Partenza per l'America. Rossi mi attendeva alla stazione di Boston. Ma il guaio era che non ci conoscevamo personalmente. Dovevamo portare, Per distintivo, un fazzoletto al collo. Ma lì in terra americana ce lo avevano tolto. Ad aggravare le difficoltà io portavo la bombetta che il Rossi proprio non si aspettava sul capo di un compagno. Noto una persona che passa e ripassa come chi cerca qualcuno nella folla. Ripenso ai connotati avuti da mio fratello si R ossi, li confronto con quella persona e l'abbordo coraggiosamente con un farfuglio: - You is Mister Rossi? - Yesss -mi risponde Rossi e quel “si” sembrava lungo un metro... Ci abbracciammo e via per Needham. Quante discussioni in quel bosco! Rossi, Ferruccio, Rospo, Scarinci erano gli assidui, ma quanti altri! Rossi, in quel tempo da socialista si convinse all'anarchismo, io conobbi Galleani. Da Needham a New Britain, Conn. Al lavoro. Con pochi formammo il famoso gruppo “I Liberi”. Pagella, Grasso, Garibaldi, Elia e il fratello, Iovino, Giambon, Paganetti, Segata. La Filodrammatica, i pic nic, le conferenze, le burla atroci ai prominenti e le bastonate con essi. Quanti ricordi.... Ma sopra tutti e tutto: Irma. Dove è la tua gentilezza, la tua vivacità, l'affetto per i compagni e l'Ideale? Tu hai voluto seguirmi per venire a morire in Italia! .... Ma non c'è stato nessun compagno che ti abbia ricordata, che ti ricordi e scriva quattro parole per te! Non ne eri degna? O dovrò scrivere io di te come fa Borghi della sua Virgilia? Irma, pensandoti sento nel petto un tumulto che lo agita, lo soffoca. Ci incontreremo ancora. Ora avanti, la lotta continua.... Ed è continuata lunga, aspra, spietata, fino alla deportazione. Tempi duri, compagni di acciaio. Compagni braccati ed inserrati nelle quarantene di Boston e Long Island, salute! Ed il nostro Gigi? E Raffaele, Montanari, Solari, Di Cecco, Fagotti, Irma, i bambini, Fruzzetti? Placide notti sul “Duca degli Abruzzi” in mezzo all'Atlantico, quante amarezze, quante lotte e quante tragedie ci attendevano! 1919, in Italia, per sempre. Quarantasei giorni di transito. Ed ecco pronta la lotta elettorale, la rivolta contro le partenze per l'Albania, l'agitazione Sacco – Vanzetti, due congressi anarchici, 65 numeri della “Frusta”, Cento conferenze, schioppettate.... A Fano, cose viste: comizio socialista per la conquista del comune. Parlo io: tutta la piazza scazzotta. C'erano trecento anarchici in quel tempo. Di notte imboscate lungo la “Liscia”, sparatorie continue contro i fascisti. Ma non la finiscono più – dicono i nostri Trimalcioni. Ma che finirla: è la rivoluzione. A Pesaro, peggio. E' disarmata una piccola polveriera. In piazza si urla. Esce il prefetto. Agostino spara, ma un avvocato socialista devia il colpo: - sei matto? - sarebbe il finimondo - (già perché pare che in seguito sia stato... meglio). Alla stazione la folla arresta i treni, il capitano Tofani (in realtà colonnello Trapani) spara sulla folla. Muore il nostro Cardinali, molti feriti. La folla che fa? - Alla casa Tofani! - Mezz'ora dopo la casa era cenere. Ad Urbino, alle Assisi, l'ultima arringa del nostro avv Santini, fa assolvere tutti. A Cattolica, per un mio discorso, cento carabinieri. Mentre parlo in un cortile, fuori si spara. Un gigante del popolo si divertiva a strappare di mano ai carabinieri i moschetti e spezzarli come cannabuli sul ginocchio. Si scappa. E' finita. No, non è finita, ancora un fremito, un sussulto, un balzo: sciopero dell'agosto '22. Di mattino entro a Pesaro. La piazza, le vie sono tutto un brulichio. Non un capo socialista, comunista, repubblicano- Che fare? Si temporeggia. Giù e su per le vie. Squadre fasciste che fanno aprire i negozi, noi li facciamo chiudere, nessuno scontro. Di notte vado a riposare per qualche ora. Di fuori la folla si dava il turno per la guardia. L'indomani il tradimento era palese. Ritornammo a casa scorati, avviliti. Questa volta era finita davvero. Restava ancora da pagare il fio del gran tradimento del Capo e l'abbiamo pagato! Dentro, ardeva, compressa, la fiammella delle speranze nella possibile rinascita, nella ripresa. Venne ma di quanta amarezza non fu carica! Ripudio dei migliori, calunnie ed abbandono dei più. Il colpo è stato peggiore di quell'altro--- Che importa? Si va avanti da solo, per quello che si può, fin dove si arriverà. L'altrui perfidia non tange una fede: Dicono che l'Anarchia è l'ideale dei giovani. Opinione smentita dal fatto che i compagni migliori, invecchiando, son restati sempre più anarchici. E' vero che un mio compagno, che mi amava ed amavo come un fratello, che visse quasi tutte le mie vicissitudini, dense di amore e di odio, questo per quello, che condivise gioie e pericoli, per il tintinnio di una medaglietta forse, se non per un sincero deviamento, ha saltato a piè pari ricordi e dignità di se stesso... Ma son pochi, poveretti! All'opposto, i giovani moderni, spaventati dalle conseguenze dell'anarchismo, inteso come dinamismo rivoluzionario, si dan da fare per transustanziarlo... in una Kellerina da anticamera e vorrebbero impomatare l'anarchico come un cameriere da Grand Hotel. Tempo perduto. L'Anarchismo sarà sempre iconoclasta e l'anarchico sempre un reietto, un segnato a dito, in lotta con tutto, solo in pace con la sua Coscienza. Senza granaio e senza guardaroba, come gli uccelli del Cristo, egli passerà nella Storia vindice di tutte le ingiustizie, nunzio di vita libera ed eguale per tutti, propulsore di tutto l'umano progresso... Mezzo secolo di vita anarchica, senza eccessive speranze, senza scoranti delusioni, sempre pronto a rivederla, anche nelle ore più nere e penose, con l'animo sereno proteso all'avvenire, penso che una vita così intensamente vissuta, nessun altro ideale, avrebbe potuto offrirmela.... VIVA L'ANARCHIA!
Giobbe Sanchini
Ottobre 1951."
FONTI: GB / Nozze d'oro con l'anarchismo 1901-1951 - Autobiografia di Sanchini, proposta da Ugo Fedeli e comunicata da Federico Sora il 26.11.2023 / art. su Irma Sanchini 14.3.1925 Risveglio anarchico /
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