Affrontare i problemi

Molte guerre nascono da problemi non o malamente risolti. Risolvere i problemi significa riconoscerli, analizzarli e negoziare. A tal fine, occorre la partecipazione di tutti coloro che ne sono in qualche modo implicati. I cosiddetti "piani di pace" sviluppati e proposti unilateralmente presentano il grande difetto di affrontare i problemi in un'ottica limitata. Si arriva così all'assurda situazione che tutti riconoscono tra le principali cause del cosiddetto "terrorismo" la mancata soluzione della "questione palestinese" continuando però a proporre piani calati dall'alto. Si ripete così la stessa cosa del classico parlamento composto quasi esclusivamente da uomini che decide sul diritto all'aborto della donna. -> Negoziazione


Antimilitarismo

"L'antimilitarismo si oppone al sistema militarista nel suo insieme e non solamente ad una delle sue manifestazioni. Non cessa di ripetere che l'avversione alla guerra significa rifiutare assolutamente sia tutto quello che la prepara e la genera, sia di sottomettersi in qualsiasi caso alla legge militare: il servizio attivo, il servizio di approvvigionamento, la tassa militare o l'imposta di guerra (cioè la preparazione finanziaria di un crimine), o il servizio sanitario che accetta il sistema guerriero basato sulla violenza ed è incaricato di rimettere le vittime in grado di combattere. (...) L'antimilitarista si oppone al sistema e sarà refrattario a tutto quello che lo Stato gli vuole imporre per farlo partecipare, direttamente o indirettamente, alla preparazione e all'organizzazione della guerra." Queste parole, pronunciate dal futuro segretario dell'Internazionale comunista Humbert-Droz in occasione della sua obiezione di coscienza (all'epoca era pastore e socialista), esprimono in modo conciso ed esatto i principi di un antimilitarismo coerente ai fini di evitare quel crimine di lesa umanità che è la guerra. Nella misura in cui il singolo si fa portatore di questo messaggio, non solo sottrae un uomo o una donna all'apparato militare ma si fa promotore della diffusione di alternative alla guerra. -> Obiezione -> Obiezione fiscale -> Rifiuto del servizio


Armi di distruzione di massa

Nessuno dovrebbe avere armi di distruzione di massa, men che meno i governi che ne reclamano la distruzione. Ora si dà il caso che gli Stati Uniti non solo ne posseggono a bizzeffe, ma rifiutano anche di firmare o ratificare gli accordi volti alla loro limitazione e minacciano di usarle o le usano (come il napalm, l'agent orange, le bombe atomiche). La rivendicazione dell'eliminazione delle armi di distruzione di massa va quindi inquadrata in una negoziazione multilaterale basata sul principio di -> reciprocità. D'altra parte, la stessa nozione di "arma di distruzione di massa" è quantomeno bizzarra, se consideriamo, ad esempio, gli effetti dei bombardamenti a tappeto o le conseguenze dell'impiego di armi ad uranio arricchito.


Assistenza tecnica

L'assistenza tecnica può essere decisiva per porre riparo ai guasti che le modalità di produzione e consumo occidentali hanno creato in molte parti del mondo. Talvolta, come in Somalia, unirsi a una banda armata è soltanto un mezzo per avere qualcosa da mangiare. Le pompe per l'acqua e le tecnologie di potabilizzazione per esempio permettono lo sviluppo di attività produttive che rendono di nuovo attraente la prospettiva di una vita pacifica.


Attentati

Gli attentati dimostrativi a fabbriche o aziende fornitrici di armi come pure l'occupazione o il blocco di tali imprese servono a pubblicizzare la loro esistenza all'opinione pubblica. Da ciò possono nascere campagne sindacali per la riconversione o richieste del blocco della produzione e del commercio degli strumenti di morte. Anche qui il mezzo deve tuttavia essere coerente con il fine. La creazione di una struttura paramilitare per compiere attentati, per esempio, ricrea la stessa logica e le stesse dinamiche che si vorrebbero combattere. In talune situazioni possono ottenere un buon effetto dimostrativo anche attentati a infrastrutture o mezzi militari. -> Blocco del commercio di armi -> Sabotaggio


Autogestione

Per autogestione si intende una pratica di produzione e di convivenza non gerarchica basata sulla solidarietà, il rispetto e il riconoscimento del valore del prossimo. Le forme di produzione cooperativistiche e autogestionarie costituiscono pertanto un fondamentale strumento di pace. Di principio, esistono in tutto il mondo. L'etnologia ci insegna che si tratta di forme di produzione spesso presenti già nelle comunità primitive. Il principio del soddisfacimento dei bisogni senza sfruttamento, tramite il lavoro comune e solidale viene d'altronde applicato in disparate forme anche oggi, spesso sotto forme del tutto spontanee e talvolta in forme più articolate. La sociologia più attenta a questi fenomeni (nel passato, Proudhon e Kropotkin, oggi Bookchin) ha individuato alternative costruttive ai rapporti di produzione capitalisti o tecnoburocratici. Oggi, anche presso di noi esiste una fitta rete di esperienze autogestionarie. Una strategia di pace può attingere a queste ricchezze in due modi: da un lato, valorizzando l'autogestione spontanea nei Paesi terzi, dall'altro, espandendo la rete autogestionaria interna a un raggio più ampio. Comporta in ogni caso una liberazione dai legami coercitivi con il dominio economico e politico e permette di stabilire rapporti umani extraistituzionali come base di una convivenza pacifica.


Azione diretta

Sono azioni dirette le azioni non meramente simboliche ma operative ed efficaci. Ogni persona che vuole la pace può essere protagonista di azioni dirette, il cui elenco è lunghissimo e va dal distacco di manifesti e proclami militari o governativi agli interventi durante le apparizioni pubbliche dei militari e dei governanti fino alla distruzione di mezzi militari o l'uccisione dei guerrafondai (un tema, quest'ultimo, che può sembrare scabroso, ma su cui non solo si fonda il mito patrio elvetico, bensì è anche di intuitiva evidenza se consideriamo i dittatori che hanno insanguinato il secolo scorso). Le azioni dirette, coinvolgenti singole individualità o piccoli gruppi, sono azioni relativamente facili da organizzare e possono produrre un grande effetto; occorre tuttavia tener presente che, visto il carattere operativo, sono di regola soggette a sanzioni nella misura in cui turbano o impediscono lo svolgimento di un'attività privata o statale oppure danneggiano strutture e cose. Rientrano in questa categoria d'azione anche i blocchi delle vie di comunicazione nonché tutte le azioni volte a rendere inoperanti le strutture coinvolte nella guerra come le basi militari, l'industria degli armamenti, l'infrastruttura statale. -> Attentati


Blocco dei trasporti

Il blocco dei trasporti di materiale bellico è un'efficace azione di lotta contro la guerra. Questa forma di opposizione è praticabile sia direttamente, mediante l'occupazione delle vie di transito e il sabotaggio, sia indirettamente, tramite la sollecitazione del proprio governo a impedire il transito, il sorvolo e la fornitura di materiale di guerra. Importante può essere in questo contesto il ruolo dei sindacati. -> Solidarietà sindacale -> Azione diretta


Blocco del commercio di armi

Il blocco del commercio di armi mediante iniziative dal basso è preferibile a una richiesta di divieto da parte dello Stato, poiché ciò implica delegare allo Stato competenze di legiferazione che ne rafforzano l'autorità anziché indebolirla. Il blocco del commercio d'armi è in realtà una misura sempre attuale: la richiesta di smantellamento e di conversione di fabbriche d'armi è in permanenza sull'agenda degli oppositori alla guerra. In caso di minaccia di guerra, tuttavia, si tratta di un obiettivo particolarmente urgente in quanto riduce l'approvvigionamento di strumenti di morte. Molte produzioni, anche a livello di armamenti, sono oggi interdipendenti su scala internazionale e la mancanza di una componente può rendere inoperativa un'intera arma. Occorre quindi, da un lato, individuare le produzioni belliche, tracciare una mappa aggiornata dei siti di produzione e delle interdipendenze e, dall'altro, esigere il blocco totale della vendita e dell'esportazione di armi. Queste rivendicazioni possono spesso contare su ampi appoggi istituzionali, anche perché le stesse norme del diritto prevedono decisioni governative in tal senso. -> Embargo


Boicottaggio

Il boicottaggio è uno strumento importante ma va applicato con cautela. Se il boicottaggio di un dato Paese è chiesto da un ampio movimento popolare di quel Paese, come nel caso del Sudafrica, può dare risultati importanti. Per il boicottaggio delle forze economiche di un Paese che vuole la guerra, si tratta di individuare gli obiettivi più sensibili e/o simbolici (oltre naturalmente a tutto ciò che riguarda l'industria degli armamenti) per generare coscienza e fare pressione. Diverse aziende hanno cambiato politica proprio perché boicottate. Inizialmente non è tanto la perdita di guadagno che le preoccupa, cosa tutto sommato limitata, ma la cattiva immagine che ne deriva. Con la persistenza del boicottaggio, tuttavia, diventano tangibili anche le perdite economiche. -> Non collaborazione economica

Esempio: nel caso del conflitto tra Stati Uniti e Iraq, il boicottaggio dell'Esso (o delle altre aziende o multinazionali implicate nel conflitto) ha avuto principalmente una valenza simbolica, ma certamente un buon effetto a livello di sensibilizzazione e di pressione. Sul tema vedi anche Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Guida al consumo critico, EMI; Francesco Gesualdi, Manuale per un consumo responsabile, Feltrinelli.


Civiltà

Nel corso degli ultimi conflitti si è sentito ripetere spesso che occorre difendere la civiltà contro la barbarie e il terrorismo, ossia la libertà contro la dittatura o la giustizia contro l'arbitrio ecc. A prescindere dal fatto che la guerra è di per sé la somma barbarie, occorre considerare il fatto che l'istituzione militare è a sua volta, basata com'è sull'ubbidienza cieca, la gerarchia, l'annichilimento dell'essere umano, il culto della violenza, l'arbitrio, uno specchio preciso della barbarie che si afferma di voler combattere, talché ogni affermazione di civiltà non può prescindere dalla negazione del sistema militare. Per usare le parole di Humbert-Droz, "lo sviluppo della civiltà cammina di pari passo con l'indebolimento del militarismo, mentre lo sviluppo del militarismo segna un arretramento della civiltà". In altre parole, chi sviluppa il militarismo minaccia dall'interno la civiltà anziché proteggerla verso supposti nemici esterni. -> Democrazia

Esempio: artisti, cineasti, musicisti hanno prodotto e producono formidabili strumenti di denuncia del militarismo come barbarie, al punto che durante la guerra contro l'Iraq la censura americana aveva messo all'indice tutta una serie di canzoni che avrebbero potuto incrinare lo spirito patriottico. La proiezione di questi film, la diffusione di questi libri, l'organizzazione di concerti con musicisti impegnati contro la guerra, l'organizzazione di mostre con pittori e scultori antibellicisti sono importanti tasselli dell'opposizione a una guerra e si prestano in modo ideale allo scambio culturale fra le parti in conflitto.


Condono dei debiti

I Paesi del Terzo mondo devono essere interamente liberati da ogni debito verso i Paesi ricchi. Occorre riconoscere che la lotta contro la povertà è una lotta per la pace. Le condizioni per la pace non si creano mettendo il Terzo mondo in stato di sudditanza tramite i debiti o le imposizioni della Banca mondiale e dell'OMC. Riconoscere il nostro debito verso il Terzo mondo è probabilmente uno dei più importanti fattori di stabilità che possiamo gestire da parte nostra.


Controinformazione

La disinformazione sul nemico, sulle proprie intenzioni e sui motivi di una guerra è un aspetto cruciale della guerra. In realtà, nulla può essere dato per scontato. Nel passato e nel presente sono stati apparentemente documentati episodi agghiaccianti per dimostrare la disumanità del nemico rilevatisi infine dei clamorosi falsi. Ciò non significa che simili fatti agghiaccianti non avvengano, e qualcuno si ricorderà come il massacro di My Lai poté essere denunciato all'opinione pubblica mondiale proprio grazie alla controinformazione. Tuttavia, in un conflitto occorre sempre partire dal presupposto che l'informazione sia distorta e addomesticata a fini bellici, fino ad arrivare alla manipolazione e alla censura. Il ruolo della controinformazione nel ristabilire, per quanto possibile, la verità dei fatti è quindi di grande importanza per ridurre le tensioni alimentate ad arte. D'altra parte, anche i motivi della guerra dichiarati non sempre coincidono con quelli reali, e laddove si avanzano motivi umanitari si celano probabilmente ragioni di strategia geopolitica o economiche. La ricerca e la diffusione di informazioni non alterate è quindi un tassello importante per ridurre la disponibilità alla guerra al quale tutti possiamo contribuire sostenendo la stampa critica, fotocopiando o ciclostilando controinformazioni, con mail o lettere ai giornali, documentandoci, diffondendo libri, riviste o video sul tema, intervenendo su internet. Per la controinformazione è anche possibile, con un equipaggiamento tecnico ridotto, inserirsi sulle frequenze radio di canali pubblici e privati.


Cooperazione economica e scambi commerciali

L'ampiezza degli scambi commerciali multilaterali equi è inversamente proporzionale alla disponibilità bellica. Ovviamente, il termine di scambio non significa flusso asimmetrico e predace di merci né tantomeno di capitali; ciò che oggi viene chiamato scambio è spesso solo rapina. Le condizioni per uno scambio equo che sia effettivamente tale richiedono l'abbandono della pretesa di usufruire dei beni esistenti da qualche parte del pianeta come se fossero dovuti. D'altra parte, la disponibilità allo sviluppo di alternative riduce il fattore ricattabilità. Per intenderci: non abbiamo nessun diritto di bombardare qualcuno perché non vuole darci il suo petrolio: sta a noi eventualmente prevedere come si potrebbe sostituirlo. D'altra parte, occorre promuovere, mediante i necessari aiuti, lo sviluppo di produzioni alternative laddove il nostro colonialismo ha imposto monoculture.

Esempio: le reti per lo scambio equo e solidale possono creare rapporti nuovi che rendono attraente il mantenimento della convivenza pacifica perché conviene a tutti. Un approccio simile è proposto anche dallo studioso americano Joseph S. Nye (Il paradosso del potere americano, Einaudi, Torino 2002), che lo definisce "Soft Power" (cooperazione, negoziazione, convincimento, incentivi positivi).


Delegittimazione dello Stato

La psicanalisi moderna ha proposto un'interpretazione della guerra come risultato di difese da angosce psicotiche. Franco Fornari (Psicanalisi della guerra, Feltrinelli, Milano 1970) l'ha definita elaborazione paranoica del lutto che porta a una modalità di risoluzione psicotica di conflitti d'interessi reali. Al fine di ristabilire un'elaborazione normale del lutto è necessario il superamento della nostra alienazione nello Stato sovrano o, in altre parole, la rottura del monopolio e la capitalizzazione della violenza da parte dello Stato con conseguente ritorno al soggetto, alla responsabilità individuale. Tale "desovranizzazione" dello Stato dal basso implica, nella pratica, il disconoscimento allo Stato della funzione di difesa del gruppo. In questo senso, l'internazionalismo e l'antipatriottismo esprimono coerentemente una condizione essenziale di prevenzione della guerra.


Demistificare la storia

Tuttora persistono alcuni miti storici che servono ai guerrafondai per legittimare le guerre. Un classico in questo senso è la politica di conciliazione ("appeasement") degli Stati europei prima della Seconda guerra mondiale. In sostanza, si dice che se gli Stati democratici fossero intervenuti preventivamente contro la Germania nazista si sarebbe potuto evitare la Seconda guerra mondiale. In realtà, la tolleranza verso il nazismo degli Stati europei, era basata in larga misura su una sostanziale convergenza di interessi antisocialisti e antisovietici. Qualsiasi confusione della conciliazione con il pacifismo è fuori luogo. Pacifismo vuol dire trovare soluzioni senza guerra ai problemi, non tollerare che si calpestino i diritti umani senza fare niente. Un altro argomento spesso citato è l'intervento degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale. Ricordiamoci però che l'intervento è stato successivo al 1941, dopo l'attacco giapponese alla loro flotta navale. Ricordiamoci che allora la frittata era ormai fatta, ossia la guerra c'era già, il che è ben diverso dal dare fuoco alle polveri come gli Stati Uniti hanno fatto ultimamente. Ricordiamoci che le mire egemoniche della superpotenza attuale sono perlomeno angoscianti, soprattutto se proviamo a sostituire la parola "ebrei" con la parola "arabi" o "musulmani". E, infine, che le guerre del passato non sono una buona giustificazione per quelle del presente. Demistificare la storia vuol dire pertanto collocare determinati argomenti a favore della guerra nel loro giusto contesto, proponendo interpretazioni alternative che dischiudono nuove prospettive per affrontare i problemi del presente senza spargimenti di sangue.

Esempio: per decenni la storiografia ufficiale svizzera ha sostenuto il ruolo determinante dell'esercito svizzero nella prevenzione dell'invasione della Svizzera da parte di Hitler. Oggi, a partire dal rapporto Bonjour (Edgar Bonjour, Geschichte der schweizerischen Neutralität, Basilea-Stoccarda 1970) e dal recente Rapporto della Commissione Bergier (www.uek.ch/it/index.htm), sappiamo che la Svizzera faceva molto più comodo alla Germania come Paese formalmente neutrale.


Democrazia

La democrazia è oggi diventato un nuovo valore universale preteso per far parte della schiera degli Stati non-canaglia. Dando per scontato l'importanza di certi valori come la libertà d'espressione, di riunione, d'associazione ecc., non dobbiamo però nemmeno dimenticare un paradosso della democrazia, ossia la possibilità che una popolazione scelga liberamente di decretare leggi liberticide o consegnare il potere in mano a un dittatore. D'altra parte, Errico Malatesta ci ricorda un secondo paradosso della democrazia: "Governo di popolo no, poiché questo supporrebbe ciò che non si verifica mai, cioè l'unanimità delle volontà di tutti gli individui che costituiscono il popolo. Dunque ci si accosterà di più alla verità dicendo: Governo della maggioranza del popolo. Si prospetta quindi di già una minoranza che dovrà ribellarsi, o sottomettersi alla volontà altrui. Ma non avviene mai che i delegati al potere dalla maggioranza del popolo siano tutti dello stesso parere su tutte le questioni, quindi bisogna ancora ricorrere al sistema della maggioranza e perciò ci avvicineremo ancora un po' alla verità dicendo: Governo della maggioranza degli eletti dalla maggioranza degli elettori. Il che comincia già a assomigliare forte ad un governo di minoranza [...] Anche nella più democratica delle democrazie è sempre una piccola minoranza che domina, ed impone con la forza la sua volontà ed i suoi interessi."

Esempio: gli Italiani che hanno votato Berlusconi e Fini sapevano che votavano per un emulo di Mussolini e un suo dichiarato ammiratore. Ricordiamoci che il partito nazionalsocialista è stato sciaguratamente votato dal popolo tedesco, che Mussolini divenne Duce per il voto del popolo italiano. Ricordiamoci che il popolo degli Stati Uniti ha votato per un personaggio folle come Bush. Contro queste derive occorre promuovere l'autoorganizzazione e l'autogestione, il che non è e non può essere affare degli Stati.


Dialogo

Il dialogo è l'opposto dell'imposizione, degli ultimatum, degli ordini perentori. Dialogare significa anche ascoltare, discutere, prendere in considerazione gli argomenti dell'interlocutore. Ma il dialogo e la negoziazione richiedono tempo. Uno degli argomenti spesso addotto per giustificare l'invasione dell'Iraq è stato quello del lungo tempo concesso al governo di quel Paese per adempiere alle condizioni imposte. Ora a nessuno è ben chiaro che differenza potessero fare 12 anni o 12 anni e 3 mesi di fronte a una decisione così drammatica come quella di una guerra.


Disarmo

Noi chiediamo il disarmo agli altri ed è certamente una richiesta giusta. Essa dev'essere però accompagnata dal disarmo nostro. Se noi dichiariamo che siamo disposti a ridurre o distruggere i nostri missili se un altro Paese fa lo stesso, si tratta di un approccio ben diverso dalla pretesa di imporre tale distruzione aumentando nel contempo il nostro potenziale bellico. Questo principio di reciprocità va applicato anche al rispetto dei trattati: se un Paese denuncia uno dopo l'altro i trattati di messa al bando di certe armi (per esempio le mine antiuomo), con che faccia impone il rispetto dei trattati a un altro Paese? Il disarmo unilaterale volontario toglie legna al fuoco e argomenti per il riarmo di altre nazioni. -> Reciprocità


Disobbedienza collettiva

Laddove è richiesta in qualsiasi forma una qualsiasi partecipazione delle cittadine e dei cittadini a azioni di preparazione della guerra o di belligeranza, una risposta immediata, concreta ed efficace possibile è la disobbedienza collettiva. La disobbedienza civile è d'altronde un punto chiave della strategia nonviolenta storica. Questa forma di contestazione della guerra va tuttavia coordinata, sviluppata e propagandata, il che richiede la concentrazione degli sforzi degli antimilitaristi e la costruzione di una rete di assistenza giuridica e logistica.


Educazione alla nonviolenza

Come tutti sanno, accanto alla dominante filosofia della violenza come strumento di soluzione dei conflitti esiste anche una teoria e pratica della nonviolenza i cui esponenti più illustri dell'era moderna sono Leone Tostoj, Mahatma Gandhi, Martin Luther King e, in Italia, Aldo Capitini. La resistenza non violenta è stata successivamente adottata da molti movimenti e con discreto successo in vari Paesi. In tutti questi anni è stato accumulato un ricco patrimonio di proposte, esperienze e iniziative nonviolente che possono aiutarci a gestire i conflitti senza spararci addosso. Da un lato, si tratta di apprendere a praticare tecniche specifiche di azione nonviolenta, dall'altro di promuovere una cultura della nonviolenza. In caso di conflitto, si potrebbe pensare a un'istanza di mediazione composta da persone che conoscono questo approccio al posto dei delegati governativi. Si tratta certamente di un drastico cambiamento di prospettiva; d'altronde, al capezzale di un malato conviene chiamare un medico e non un becchino. -> Resistenza non violenta -> Violenza


Embargo

Se uno Stato o una coalizione di Stati, foss'anche le Nazioni Unite, affama il popolo di un'altra nazione mediante l'embargo rischia non solo di colpire, a causa di un certo governo, intere popolazioni, ma anche di ottenere l'effetto contrario, ossia di fomentare nelle popolazioni l'odio nei propri confronti. Altro discorso è la rinuncia alla fornitura di armi o materiale potenzialmente a uso bellico che tuttavia, per il principio di reciprocità, non può essere una misura unilaterale ma va applicata universalmente.


Emergenza umanitaria

La missione Restore Hope in Somalia è stata un fallimento, sommando violenza a violenza. Come garantire allora gli aiuti alla popolazione di fronte a chi cerca di impedirlo? Tramite la negoziazione di condizioni accettabili per tutte le parti in causa, con una presenza rigorosamente non armata. È pericoloso? La guerra lo è di più.

Esempio: l'eccidio di Srebrenica è avvenuto benché fossero presenti in loco i Caschi Blu delle Nazioni Unite. L'area jugoslava presenta oggi una divisione che ricorda le peggiori prospettive di pulizia etnica. In Afganistan, fondamentalisti e signori della guerra continuano a dettar legge. In Iraq la pace ha fatto più vittime USA della guerra.Tutto ciò dovrebbe far riflettere sul concetto di intervento armato anche laddove il fine dichiarato (anche se magari non di fatto) è nobile.


Formazione sindacale

Le organizzazioni sindacali dei lavoratori, laddove e nella misura in cui non sono asservite al sistema economico e politico dominante, sono una grande risorsa di pace internazionale perché ristabilisce i corretti termini delle relazioni sociali: l'antagonismo di classe. Per i lavoratori di tutto il mondo esiste cioè un obiettivo unificante che è quello di stabilire condizioni di lavoro più eque. Questa base comune va sviluppata con l'istituzione di rapporti internazionali tra i sindacati finalizzati al superamento del corporativismo nazionale. La formazione sindacale permette lo scambio di esperienze per dare vita a forme di collaborazione efficaci ai fini dell'organizzazione di strutture basate sulla reciprocità. -> Solidarietà sindacale


Invio di osservatori

Si tratta di un primo passo. Gli osservatori dovrebbero preferibilmente appartenere a un'organizzazione non governativa riconosciuta dalle parti oppure a un ente sovrastatale. Gli osservatori possono svolgere numerosi compiti: il controllo della regolarità di determinate operazioni dello Stato (le votazioni per esempio), la verifica della presenza di armi proibite dalle convenzioni internazionali, l'accertamento di rischi ambientali (centrali atomiche) ecc. Gli osservatori limitano il margine di arbitrarietà delle parti: le accuse devono essere dimostrate e le bugie hanno le gambe più corte. Naturalmente, è necessario che il Paese ispezionato accetti la presenza degli osservatori. Poiché una misura unilaterale è certamente più difficile da digerire, lo Stato o gli Stati che chiedono l'ispezione dovrebbero offrire allo Stato ispezionato la possibilità di compiere le stesse ispezioni presso di loro. Il principio di reciprocità toglierebbe all'ispezione quel carattere di umiliazione che potrebbe assumere agli occhi dello Stato ispezionato. Non bisogna comunque creare una situazione di ricatto: ogni dialogo, anche in caso di rifiuto dell'ispezione, è preferibile alla chiusura.

Nota: oggi sappiamo che fu il governo degli Stati Uniti a provocare la crisi dell'ispezione in Iraq: cfr. Rai, Milan, Iraq: dieci ragioni contro la guerra, Einaudi, Torino 2002 -> Sincerità -> Reprocità


Manifestazioni e marce

Le manifestazioni e le marce per la pace possono diventare un elemento decisivo per la salvaguardia o il ripristino della pace. Le manifestazioni costituiscono un fattore di pressione sui governi e possono influire sulle loro decisioni. Anche quando una guerra è scoppiata, le manifestazioni per la pace aiutano a contenere la crudeltà dei belligeranti. Inoltre, le manifestazioni danno risonanza ad argomenti contro la guerra alimentando una proficua discussione sui mezzi per evitarla. Talvolta si sente dire che le manifestazioni fanno il gioco di una delle due parti (recentemente, si sentiva dire che i pacifisti sono amici dei dittatori perché ne impediscono il rovesciamento violento). È pertanto molto importante che le manifestazioni esprimano con chiarezza il dissenso riguardo al mezzo (la guerra) e non a un eventuale fine nobile (la cessazione di un eccidio), indicando in ogni caso possibili soluzioni alternative per pervenire allo stesso risultato. -> Reciprocità

Esempio: la protesta mondiale contro la guerra del Vietnam ha certamente contribuito ad impedire il genocidio totale in quella regione. In Italia, se un governo come quello di Berlusconi ha limitato la propria adesione alla guerra sostanzialmente alle parole, ciò è certamente dipeso anche dalla fortissima opposizione popolare.


Missioni di pace

Le cosiddette missioni di pace armate devono lasciare il posto a missioni di pace non violente. In taluni Paesi, per esempio, i sindacalisti più esposti alla repressione vengono accompagnati 24 ore su 24 da uno o più osservatori volontari che, con la loro presenza, li rendono meno vulnerabili. Nei Paesi con conflitti interni la presenza di cooperatori volontari che partecipano alla costruzione di condizioni di vita dignitose contribuiscono decisamente di più al ristabilimento della convivenza pacifica di pattuglie armate che finiscono per dare copertura al reinsediamento di autocrati locali (come in Afganistan). È necessario che i partecipanti alle missioni di pace conoscano molto bene la realtà sociale, politica, culturale e religiosa in cui andranno ad operare: sono queste le competenze che possono implementare processi di pace. Occorrono mediatori, non ragazzi con elmo e moschetto. Alla deterrenza (illusoria) delle armi occorre sostituire la prospettiva positiva di una vita più dignitosa.

Esempio: in Colombia alcune comunità locali hanno dato vita, con l'appoggio di organizzazioni non governative (ONG) internazionali, a un'ampia zona di pacificazione.


Non collaborazione economica

La non collaborazione economica si basa sull'interruzione dei rapporti economici con i soggetti erogatori di beni e servizi che non dichiarano la loro opposizione alla guerra o che ne sono complici. Possono essere grandi distributori, banche, assicurazioni, industrie ecc. L'efficacia dipende dalla molteplicità delle richieste che giungono in tal senso ai soggetti e dalla successiva capacità di reazione delle consumatrici e dei consumatori. Così come il movimento ecologista ha spinto l'economia a profilarsi in termini di rispetto per l'ambiente, il movimento per la pace può sottrarre consensi e quindi profitti a imprese che non si distanziano dall'ipotesi guerra. -> Boicottaggio -> Sciopero

Esempio: una famosa dimostrazione storica in questo senso è la marcia del sale promossa da Gandhi contro il monopolio dello Stato inglese in India.

Nota: in diversi Paesi esistono banche che hanno adottato direttive etiche che vietano investimenti in industrie degli armamenti. In Svizzera, si tratta della Banca Alternativa di Olten.


Obiezione di coscienza, obiezione di ragione, obiezione totale

Tanto l'obiezione di coscienza (religiosa) quanto l'obiezione di ragione (laica) o l'obiezione totale (rifiuta anche il servizio civile statale, ma non quello internazionale), in quanto atti individuali, costituiscono formidabili iniziative di propaganda col fatto che, al di là della protesta individuale, pubblicizzano l'opposizione al militarismo. Nella sua forma più evoluta, l'obiezione nega qualsiasi partecipazione a iniziative dello Stato in quanto struttura che causa le guerre. In caso di minaccia di guerra, l'obiezione di coscienza e di ragione può essere efficacemente praticata sotto forma di rifiuto del servizio o diserzione non solo laddove un esercito è direttamente coinvolto ma anche dove, con la sua semplice esistenza, rende virtualmente possibile la guerra. -> Antimilitarismo -> Rifiuto del servizio -> Diserzione


Obiezione fiscale

La sottrazione di mezzi economici per il finanziamento dell'esercito o di una guerra è indubbiamente uno degli strumenti più efficaci per combattere velleità polemiche; tuttavia, dev'essere di tale portata da impedire l'esecuzione o il pignoramento dei beni. Occorre dare uno sbocco concreto a slogan come "Non un soldo per l'esercito" o "non un soldo per la guerra" sotto forma di proposte attuabili senza eccessiva difficoltà come per esempio: "rifiutiamo di pagare la percentuale delle tasse corrispondente alle spese militari del Paese". Tale somma può essere versata sul conto di un'organizzazione che si impegna per la pace.

Nota: in Svizzera, è soggetto alla tassa militare unicamente chi è esentato dal servizio militare. Il rifiuto del pagamento è sanzionato con l'arresto e il pignoramento. Il rifiuto del pagamento della quota dell'imposta federale diretta destinata all'esercito comporta il pignoramento.


Petizioni e proclami

Le manifestazioni della volontà di pace sotto forma di petizioni, lettere aperte, proclami ecc. difficilmente cambiano l'opinione dei governanti senza il supporto di più incisive azioni. Nondimeno, anche queste forme di protesta possono validamente contribuire al duplice obiettivo della pressione sui governanti e della propaganda di pace.


Rafforzamento delle agenzie ONU

Dalle Nazioni Unite come organizzazione di Stati c'è poco di buono da aspettarsi. L'organizzazione di nuovi rapporti internazionali va edificata dal basso, tramite le comunità locali, le ONG, le associazioni e i sindacati perché le guerre nascono proprio dai principi d'autorità, di sovranità e nazionalità su cui si basano gli Stati, principi che si riflettono inevitabilmente anche nell'assemblea degli Stati. Inoltre, non dobbiamo dimenticarci i meccanismi con cui gli Stati potenti possono far prevalere comunque i propri interessi. Per contro, nelle agenzie delle Nazioni Unite esiste un potenziale di sviluppo dal basso che può rilevarsi di una certa efficacia nella prevenzione dei conflitti. Educazione, alimentazione, assistenza sanitaria, acqua, emancipazione della donna, rispetto dei diritti sono tutti strumenti che aiutano a disinnescare le cause della violenza. Laddove una famiglia dispone del necessario per una vita serena e dignitosa e i diritti di un gruppo, di un popolo, di un'etnìa sono rispettati, la disponibilità alla violenza si riduce considerevolmente, mentre di converso l'insicurezza, la povertà, la disperazione, l'ignoranza, la fame, l'angoscia per il futuro, l'assenza di prospettive e il mancato rispetto culturale sono altrettanti fattori che alimentano la violenza.

Esempio: la presenza di operatori dell'UNICEF o dell'Alto Commissariato per i rifugiati può essere molto più incisiva di quella dei Caschi Blu. Infatti, mentre questi ultimi impongono un dettame internazionale con le armi, e talvolta con vergognosi soprusi, le agenzie promuovono il ristabilimento di condizioni di vita accettabili e con ciò una riduzione della conflittualità.


Rafforzamento delle ONG

Esistono nel mondo ricco innumerevoli organizzazioni non governative (ONG) che da tempo hanno perso il carattere di enti di beneficenza per assumere un ruolo di autentici interlocutori che operano in uno spirito di reciprocità. Oggi, spesso basano il proprio lavoro sull'aiuto all'autoaiuto (ossia la promozione di capacità e la fornitura di strumenti per organizzare autonomamente la propria vita, senza innescare un circolo di dipendenza) e operano d'intesa con i partner locali, le organizzazioni di base, i villaggi e le comunità. I progetti che promuovono cercano di valorizzare la ricchezza delle culture tradizionali e di rispettare le peculiarità locali. Le tecnologie vengono adattate alle possibilità e alle esigenze locali in modo da consentire la massima autonomia. D'altra parte, esistono ONG che intervengono in casi d'emergenza assicurando assistenza sanitaria o il rispetto dei diritti dell'uomo. Qui esiste un certo margine di condizionamento delle scelte governative.

Esempio: sarebbe possibile un'azione di conversione fiscale dal basso nel senso che i contribuenti versano la quota delle imposte destinate alla difesa nazionale ad Amnesty International o a Emergency. Ciò sarebbe non solo un aiuto immediato importante per queste organizzazioni che operano per la pace, ma anche un chiaro segnale di rifiuto alla partecipazione a interventi armati. -> Obiezione fiscale -> Reprocità


Ragionevolezza

Per affrontare un problema grave come per esempio il pericolo di attentati si può rispondere con la guerra o con la ragione. Un bell'esempio di ragionevolezza è offerto dall'immaginario discorso del Presidente degli Stati Uniti ai concittadini dopo l'11 settembre, proposto da uno dei più noti ricercatori della pace del mondo, Johan Galtung:

"Amici americani, l'attacco di ieri contro due edifici, che ha ucciso migliaia di persone, è stato atroce, totalmente inaccettabile. I responsabili sono stati catturati e portati in Tribunale davanti ad un'apposita corte internazionale, dotata di un chiaro mandato delle Nazioni Unite. Tuttavia, il discorso di stasera va al di là di questo. Sono giunto alla conclusione che ci sono stati e ci sono gravi errori nella nostra politica estera, per quanto questa fosse sostenuta da buone intenzioni. Noi ci creiamo nemici a causa della nostra insensibilità ai bisogni fondamentali dei popoli in tutto il mondo, tra questi la sensibilità religiosa. Sono quindi giunto alla decisione che si intraprenderanno i passi necessari per:
- ritirare le nostre basi militari dall'Arabia Saudita;
- riconoscere lo Stato di Palestina, i dettagli saranno comunicati in seguito;
- intraprendere un dialogo con l'Iraq per identificare i conflitti risolvibili;
- accettare l'invito del presidente Khatami di fare lo stesso con l'Iran;
- uscire militarmente ed economicamente dall'Afganistan;
- arrestare i nostri interventi militari e riconciliarci con le vittime".

Il discorso costerebbe mezz'ora per essere scritto e dieci minuti per essere pronunciato in confronto con, diciamo, 60 miliardi di dollari per l'operazione in Afganistan, 50 miliardi per quella in Jugoslavia e così via.
In considerazione del fatto che la violenza su grande scala produce più minacce di quanto ne elimini, la proposta di Galtung appare anzitutto ragionevole; essa offre certamente un miglior punto di partenza di una guerra per costruire rapporti meno violenti tra le nazioni.


Reprocità

Un primo, fondamentale requisito per giungere a una soluzione pacifica di vertenze fra Stati è lo sviluppo di una cultura della reciprocità. Che cosa significa? Significa innanzitutto non umiliare l'avversario. La pace punitiva imposta alla Germania da Francia e Inghilterra nel 1919 ha gettato i semi di odio e di rivincita che hanno fortemente contribuito all'affermazione di un regime che puntava sull'orgoglio nazionale. Reciprocità significa quindi negoziazione, non imposizione. Tutte le parti interessate devono potersi esprimere ed essere prese in considerazione. La reciprocità non ammette soluzioni rapide ma propone la ricerca di equilibri per una stabilità durevole. Le negoziazioni improntate sulla reciprocità associano anche le opposizioni e i gruppi minoritari. Le modalità d'arbitrato vanno concertate. La cultura della reciprocità richiede il rispetto dell'altro. Rispetto non vuol dire rinuncia alla condanna di quanto si ritiene inaccettabile (per esempio l'impiego di armi chimiche bandite), anzi. Significa però non demonizzare, non categorizzare taluni Paesi come "asse del male" e cose simili. Restare oggettivi nelle proprie richieste, chiedere cose fattibili e verificabili, indicare le fonti delle informazioni, rispettare gli accordi. Ma reciprocità vuol dire soprattutto essere disposti ad accordare per se stessi quanto si chiede all'altro. Pensate anche alla valenza simbolica di certi atti di avvicinamento, come può esserlo l'invito di una delegazione di un Paese nel proprio Paese. Reciprocità è sempre anche apertura e disponibilità. Magari il governo non apprezza, ma la popolazione può rendersi conto che se il governo demonizza mente. Se un governo è particolarmente repressivo e guerrafondaio, ciò può essere un cuneo che s'insinua nel muro di consenso popolare sul quale si regge bene o male anche il più feroce dei regimi. Ovviamente, uno Stato aggressore sa già tutto questo, ma evita deliberatamente un percorso di questo tipo in favore dell'inasprimento delle relazioni e di un completo controllo sullo Stato da sconfiggere o sconfitto. Se ci fosse la volontà di applicare la cultura della reciprocità, probabilmente molte guerre non ci sarebbero state. La negoziazione dev'essere fatta prima di una guerra, non solo dopo. Se non c' negoziazione prima della guerra, è più difficile che ci sia dopo. Rivendicare l'applicazione di principi di reciprocità è quindi un possibile primo passo per scongiurare una guerra. -> Sincerità -> Umiliazione

Esempio di reciprocità: "A noi risulta che tale industria di un Paese terzo vi ha fornito tale quantità di antrace. Tale sostanza è bandita dalla comunità internazionale. Troviamoci per discuterne lo smaltimento. Naturalmente, noi vi invitiamo nel nostro Paese affinché possiate verificare che da parte nostra teniamo fede al bando. Inoltre, l'industria che vi ha fornito l'antrace verrà ispezionata affinché tale sostanza non venga più prodotta."


Religione

La matrice religiosa di numerosi conflitti moderni svela l'urgenza di un'incisiva presenza razionalista. Tuttavia, spesso il conflitto religioso esprime in realtà altri disagi, di natura sociale, economica ecc. che, se non vengono affrontati, continueranno ad alimentare tensioni e scontri. Se questi ultimi aspetti richiedono soluzioni politiche, sociali, economiche ecc., le questioni religiose necessitano soluzioni religiose. L'esempio di convivenza, tolleranza e rispetto è il miglior antidoto contro il fondamentalismo guerrafondaio. Ovviamente, si tratta in primis di svelare la natura totalitaria del fondamentalismo in casa nostra. -> Rispetto culturale


Resistenza non violenta

La resistenza non violenta è una strategia di lotta basata sulla non collaborazione, il boicottaggio e la disobbedienza. Gli strumenti pratici della resistenza non violenta sono molteplici e comprendono forme di protesta come lo sciopero della fame, l'occupazione di spazi pubblici o statali (come un aeroporto militare), la disobbedienza civile, le marce per la pace, le azioni dei consumatori e le manifestazioni di dissenso (per esempio, l'esposizione di bandiere per la pace). -> Educazione alla nonviolenza -> Sabotaggio -> Sciopero -> Antimilitarismo

Esempi: i casi moderni più noti sono la resistenza all'occupazione francese nella Ruhr, la resistenza all'occupazione nazista in Danimarca e Norvegia, la resistenza non violenta in India contro l'occupazione inglese, la lotta dei contadini del Larzac contro l'ampliamento di un campo militare francese nonché, in Svizzera, le lotte nonviolente contro le centrali nucleari. Nella sua fondamentale opera Politica dell'azione nonviolenta,Gene Sharp descrive 198 tecniche di azione nonviolenta. L'elenco proposto da Sharp è organizzato nel modo seguente: azioni di protesta e di persuasione nonviolenta, tecniche di non-collaborazione sociale; tecniche di non-collaborazione economica, tecniche di non-collaborazione politica, tecniche di intervento nonviolento (Vedi anche Gregg, Richard B., The Power of Nonviolence, Clarke, Londra 1960).


Restituire senso ai termini

Da un po' di tempo circola un'espressione che ha incontrato anche il favore di una parte della sinistra "pacifista": la guerra umanitaria. Tramite questo non-senso si vuole giustificare un intervento armato in un contesto dove vengono compiuti massacri, genocidi o pulizie etniche. Questo concetto si basa sul presupposto che non vi sono altre strade percorribili per porre fine a una situazione insostenibile. Esso confonde cioè l'urgenza di fare qualcosa con l'ineluttabilità di un intervento armato. Qualcuno, molto efficacemente, aveva detto che bombardare un Paese per far sloggiare un governo cattivo è come bombardare Palermo per far sloggiare la mafia. L'attribuzione di significati diversi alle parole in funzione dei propri interessi è naturalmente una pratica comune del dominio, fino a chiamare lo sfruttamento libertà e la guerra missione di pace. Occorre restituire definitivamente alla parola guerra il suo significato: la guerra è un conflitto armato e violento tra Stati che mira a distruggere e terrorizzare l'avversario. La guerra è un crimine contro l'umanità. A nulla serve l'aggettivazione della guerra con "umanitaria" o "imperialista" se non a relativizzare il senso del termine per i propri fini politici. Bandire la guerra dalla storia non è una soluzione a tutti i problemi del mondo, ma un bel passo avanti. Ma per arrivare a quel traguardo occorre bandire il termine di "guerra umanitaria" dal nostro lessico.


Rifiuto del servizio, diserzione

Nella misura in cui si tratta di proteste isolate o molto minoritarie, il rifiuto del servizio o la diserzione possono comportare conseguenze molto pesanti per chi compie tali gesti. Tuttavia, il loro valore esemplare è enorme e possono determinare il formarsi di nuovi punti di vista tra la popolazione. Anche per i renitenti e i disertori vanno approntate adeguate strutture d'appoggio logistiche come vie di fuga, rifugi, casse di resistenza. -> Antimilitarismo -> Obiezione

Esempio: quando il rifiuto del servizio e la diserzione diventano fenomeni di massa, come nel caso della guerra del Vietnam, possono contribuire a fermare una guerra. In Svizzera ha fatto recentemente scalpore il fatto che certamente più del 30% dei soldati chiamati alle armi per la protezione del vertice mondiale di Evian (G8) si sono rifiutati o hanno chiesto l'esonero dal servizio.


Rispetto culturale

La cultura dell'altro va rispettata. Se noi mettiamo l'altro in condizione di dover difendere la sua cultura dai nostri attacchi prepariamo un conflitto. Rispetto significa riconoscere a ciascuno il diritto di vivere secondo i propri valori. Belle parole, ma se questi valori sono razzisti, sessisti o quant'altro riteniamo deprecabile? Occorre sgombrare il campo da un equivoco: rispetto non significa consenso. Anzi, il dissenso è una delle componenti del rispetto. L'altra è la rinuncia alla pretesa di una supremazia etica. La pretesa di una supremazia etica può facilmente essere all'origine di una guerra, le crociate sono un esempio per tutte. Soluzioni al dilemma? L'educazione, il buon esempio, l'eliminazione delle cause strutturali della formazione di personalità autoritarie. -> Civiltà


Rispetto delle persone

La riduzione del prossimo a "effetto collaterale" o "inevitabile vittima" è un formidabile strumento di annullamento del valore della persona. Non meno deleteria è la distinzione, che spesso si fa durante le guerre, delle persone coinvolte in "civili" e "militari", come se sotto la divisa non vi fosse un essere umano. In una guerra non esistono vittime civili e morti militari, ma solo vittime. Occorre battersi ovunque per lo smantellamento degli apparati militari e dei corpi speciali creati "contro il terrorismo" o per "interventi speciali". -> Antimilitarismo


Rivoluzione

La creazione di condizioni di pace durevoli implica un cambiamento radicale degli attuali rapporti di produzione, di consumo e di dominio. Una società senza sfruttamento e senza imposizioni, con una ridistribuzione equa delle risorse, crea certamente condizioni migliori per la risoluzione nonviolenta dei conflitti. Inoltre, buona parte delle cause attuali dei conflitti, ossia l'imperialismo economico, politico e culturale e il controllo delle risorse da un lato e l'opposizione violenta a tali politiche dall'altra, verrebbero meno. Ma la pace non può attendere che si compia il miracolo. Costruire oggi alternative ai conflitti in un quadro sfavorevole non è solo necessario per impedire altre catastrofi umanitarie ma anche perché il cambiamento di prospettiva generale generato da un approccio nonviolento dischiude alternative anche in altri campi.

Esempio: la rinuncia a investimenti in armamenti permette la destinazione di risorse a progetti di sviluppo improntati sul concetto di aiuto all'autoaiuto, vale a dire lo sviluppo di competenze per l'autogestione.


Sabotaggio

Gli Stati e gli eserciti utilizzano strumenti tecnologici assai sofisticati ma anche vulnerabili. Per disturbare determinate trasmissioni satellitari, per esempio, può essere sufficiente librare in aria di fronte alle parabole foglietti di alluminio legati a palloncini. Vulnerabili sono anche i sistemi informatici, gli strumenti a radiotrasmissione, i sistemi logistici, l'approvvigionamento energetico, le vie di comunicazione, i corridoi di decollo ecc. che offrono il fianco a interventi di disturbo, dai chiodi a stella per bloccare il transito di veicoli su gomma alla distruzione di infrastrutture radar.

Esempio: nel 1999, la partenza dei bombardieri dalla base di Aviano (Italia) è stata bloccata mediante l'impiego di mongolfiere (vedi Beppe Sini, Nonviolenza: piccola guida pratica all'azione diretta nonviolenta, http://italy2.peacelink.org/pace/indices/index_147.html).


Scambi culturali

La promozione di scambi culturali è un modo fecondo, interessante e creativo per superare barriere di incomprensione. L'invito di persone del Paese "ostile" nel proprio Paese per organizzare mostre, spettacoli e rassegne permette di stabilire legami, conoscenze e amicizie che riducono l'aggressività. Conoscere, capire e rispettare l'altro sono presupposti essenziali per combattere il pregiudizio e isolare il fanatismo. È pratica comune dipingere l'avversario in tinte fosche, come una belva umana capace di qualsiasi nefandezza. Gli scambi culturali permettono di porre in vista l'altra faccia della medaglia, le ricchezze spirituali, artistiche, artigianali, gastronomiche ecc. dell'altro. Nello spirito della reciprocità, gli scambi culturali costituiscono un freno all'imperialismo culturale che genera ostilità; inoltre, valorizza la diversità. -> Reprocità


Sciopero

Lo sciopero è un formidabile strumento in mano ai lavoratori per impedire una guerra. Infatti, mentre le manifestazioni restano per lo più sul piano simbolico, lo sciopero può bloccare produzione, distribuzione, trasporti e quindi rendere difficoltoso o impossibile l'approvvigionamento e la logistica di materiale bellico come pure lo spostamento di persone. Uno sciopero generale potrebbe quindi addirittura bloccare o evitare una guerra. Non meno importanti sono piccoli scioperi per la pace ovunque sia possibile. Una piccola azione come una temporanea astensione dal lavoro può avere un notevole impatto mediatico e aiutare a diffondere le argomentazioni antimilitariste. Lo sciopero è un segnale di forte determinazione e costituisce pertanto anche uno strumento di pressione sulle decisioni a livello politico ed economico. Eventuali azioni collaterali potrebbero essere la creazione di casse di resistenza d'appoggio agli scioperanti, l'istituzione di cucine popolari, la mobilitazione della comunità locale a sostegno degli scioperanti. Lo sciopero può essere anche effettuato sotto forma di sciopero dello zelo (applicazione alla lettera del regolamento e rifiuto di ogni attività straordinaria) o come "hartal" (sospensione totale di ogni attività di una nazione per 24 ore).

Esempio: tra il 1965 e il 1970 gli operai agricoli della California, animati da Cesar Chavez, condussero con successo uno sciopero ad oltranza con modalità ispirate alla nonviolenza che raccolse la solidarietà dei lavoratori in tutto il mondo.


Sciopero della fame

Lo sciopero della fame è uno dei mezzi classici di lotta nonviolenta. Solitamente si tratta di un gesto di protesta o di pressione individuale, ma può essere anche collettivo. In considerazione del sacrificio personale che implica e a condizione della massima serietà con cui viene effettuato, suscita rispetto e permette quindi di veicolare efficacemente il proprio messaggio.

Esempio: nel 1962, il pacifista anarchico francese Louis Lecoin ottenne, con un digiuno illimitato, il riconoscimento legale dell'obiezione di coscienza in Francia (cfr. anche Louis Lecoin, Ecrits, UP, Parigi 1974).


Scudi umani

La presenza di scudi umani nelle aree di conflitto può essere un importante deterrente per scongiurare attacchi a obiettivi civili e/o, se gli scudi sono persone della nazione aggredente, addirittura la guerra stessa. Tuttavia, in considerazione delle implicazioni personali, questa forma di resistenza alla guerra può essere decisa e organizzata soltanto da chi la compie.

Esempio: il ricercatore della pace Johan Galtung ha stimato che con una presenza di circa 100.000 scudi umani americani ed europei in Iraq la guerra verosimilmente non ci sarebbe stata.

Considerazione: è stato dimostrato da "scudi umani" reduci dall'Iraq che, dove era stata resa nota la presenza di scudi occidentali, le strutture civili (centrali elettriche, acquedotti), non sono state bombardate in considerazione delle ripercussioni che simili azioni avrebbero avuto nei rispettivi Paesi.


Sincerità

La spirale di menzogne che precedono, accompagnano e seguono i conflitti alimenta quelli esistenti e ne prepara di futuri. Così com'è necessario ristabilire per quanto possibile la verità, è altrettanto necessario imparare ad ascoltare e ammettere i propri errori. Se i guerrafondai esprimono un fatto vero ciò non giustifica l'opzione della guerra ma nemmeno la negazione del fatto per spirito di parte. La sincerità è la base di ogni politica di pace. -> Controinformazione


Sit-in

Il sit-in è una forma di protesta che consiste nel rimanere seduti o sdraiati in un luogo pubblico o privato allo scopo di rivendicare una negoziazione, affermare un diritto o manifestare un dissenso. Si tratta anche di una tattica nonviolenta di resistenza a uno sgombero forzato.


Solidarietà sindacale

Grazie alla loro potenzialità organizzativa, i sindacati possono promuovere azioni in grado di inceppare seriamente la preparazione di una guerra o il funzionamento della macchina bellica.Talvolta i sindacati riformisti hanno al proprio interno organi che possono essere chiamati in causa ai fini della promozione della solidarietà internazionalista. In molti Paesi esistono anche realtà sindacali rivoluzionarie o autogestionarie che, in virtù di una struttura snella, della ridotta consistenza numerica, e dell'elevato grado di militanza, possono intervenire tempestivamente e molto efficacemente. -> Sciopero -> Blocco dei trasporti -> Formazione sindacale

Esempio: conoscere e sviluppare le esperienze di sindacati come l'IWW americano, l'Unione Sindacale Italiana, la CNT spagnola, l'Associazione Internazionale dei Lavoratori o l'Awareness League in Nigeria sono premesse feconde per un sindacalismo attivo anche sul piano della solidarietà internazionale tra gli sfruttati. Anche in Svizzera esiste una organizzazione sindacale autogestionaria, la Freie Arbeiter Union (FAUCH).


Sovranità

Una comunità, grande o piccola che sia, ha il diritto di scegliere come vuole organizzarsi. Oggi, questo principio è messo in discussione facendo valere la supremazia di altri valori universali, come l'unità dello Stato. Questa concorrenza di valori è all'origine di conflitti. Occorre ristabilire il valore della sovranità. Se le comunità che vivono nel Giura bernese, in Bretagna, in Irlanda, nei Paesi Baschi, in Cecenia o in Palestina desiderano organizzarsi per conto proprio, occorre riconoscere loro questo diritto. Nella storia delle dottrine politiche, quest'approccio è stato definito federalismo e non dev'essere confuso con purezza etnica o ideologie di supremazia. Il federalismo implica il rispetto del prossimo poiché si basa sulla libera associazione reciprocamente riconosciuta. -> Reciprocità


Sviluppo di cooperative

La forma cooperativistica di produzione e consumo presenta il duplice vantaggio di promuovere la responsabilità collettiva e di svincolare decisioni e distribuzione del reddito dal capitale. A condizione che la gestione cooperativistica non sia soltanto formale (cioè conforme alle relative disposizioni del diritto societario, vedi le grandi imprese commerciali come Migros e Coop) bensì sostanziale (cioè basata sulla partecipazione diretta e sull'egualitarismo distributivo), si tratta quindi di una modalità d'associazione funzionale alla pratica dell'autogestione e con ciò di un elemento strategico di prevenzione della guerra.


Terrorismo

Le guerre alimentano anziché fermare il terrorismo. Se terrorismo è l'uso della violenza contro persone indifese, fosse pure soltanto a titolo di danno collaterale, ogni guerra è terrorismo. D'altra parte, il terrorismo non ha necessariamente bisogno di Stati e di ingenti mezzi militari, come dimostra l'attentato alle torri gemelle, compiuto con aerei di linea. Per lanciare un'autobomba, avvelenare un pozzo dell'acqua potabile, incendiare un supermercato affollato, dare fuoco a una discoteca, diffondere l'antrace, contaminare degli alimenti ci vuole molto meno. L'invasione dell'Afganistan ha prodotto semplicemente una dislocazione logistica ma non ha certo ridotto la minaccia. L'applicazione del principio di reciprocità avrebbe consentito di stabilire una piattaforma per affrontare anche uno dei problemi che sta alla radice del fenomeno, la questione palestinese. C'è poi un altro aspetto che non va sottovalutato: tutto ciò che oggi mette in discussione l'imperialismo di qualche Stato viene chiamato terrorismo. Occorre ristabilire una correttezza anche nei termini: esistono lotte di liberazione armata che non sono terrorismo. Esistono attentati dimostrativi che non sono terrorismo. Ed esistono Stati che compiono palesemente atti terroristici. -> Ragionevolezza -> Affrontare i problemi

Esempi: stando alla nuova accezione del termine terrorismo, non si salverebbero né Garibaldi né il mitico Guglielmo Tell, né (e questo preoccupa certamente di più), le comunità autonome del Chiapas. D'altra parte, la pratica del terrorismo è documentata, nella storia più recente, oltre che per gli immancabili Stati Uniti (Cile, Nicaragua) e Israele, anche per Stati meno "sospettabili" come l'Italia (stragi di Stato), la Svizzera (poliziotti infiltrati in gruppi politici come provocatori) o la Francia (attentato alla nave di Greenpeace).


Turismo

Il turismo presenta un'ambivalenza di fondo. Da un lato, è una forma di imperialismo e nei paesi dittatoriali può costituire anche un rafforzamento del regime. Dall'altro, è un'importante forma di sviluppo della comprensione reciproca. Un turismo consapevole non solo produce reddito nel Paese di destinazione, ma può costituire anche un incentivo al rispetto dei diritti umani. Il turista consapevole è anche testimone. Laddove il turismo produce benessere per la popolazione locale non c'è nessun interesse a porre mano alle armi. Ciò significa però che a gestire gli impianti turistici non siano multinazionali ma cooperative locali. Le ONG che si occupano di aiuto allo sviluppo possono fare molto in questo senso.


Umiliazione

L'umiliazione del "nemico" è ovviamente una pratica normale in caso di conflitto. Ciò obbliga l'avversario a costruirsi un'identità di risposta, genera rancore e impedisce il dialogo. Un embargo commerciale genera risentimento e odio. Il rifiuto di chiamare l'avversario a partecipare alle riunioni internazionali che lo concernono genera chiusura e sfiducia. Anche qui, non umiliare non significa non criticare o non condannare. Significa però non creare ostacoli alla ricerca di una soluzione senza guerra. Questo è d'altronde un elemento fondamentale di una strategia non violenta: la rimozione di tutti gli ostacoli che potrebbero offuscare la vista dell'una o dell'altra parte su possibili soluzioni. Occorre aprire porte, non chiuderle; ricompensare i gesti di buona volontà anziché punire le vere o supposte inadempienze; fare il primo passo anziché aspettare che lo faccia l'altro. -> Via d'uscita

Esempio: le conseguenze delle umilianti condizioni imposte alla Germania dopo la Prima guerra mondiale sono state tra le principali cause della Seconda.


Via d'uscita

Uno dei principi fondamentali per la riduzione del livello di conflittualità consiste nel lasciare all'avversario sempre una via d'uscita che gli permetta di "salvare la faccia". Chi si trova con le spalle al muro o reagisce con particolare aggressività e disperazione o si sottomette covando vendetta. La negoziazione va sempre impostata in modo da offrire una soluzione "onorevole" a tutte le parti in causa.


Violenza

Talvolta, contro una pace possibile vengono avanzate riserve di natura antropologica (l'uomo è cattivo e violento per natura) o politica (la violenza è una necessità storica di liberazione). La ricerca di strategie per evitare un conflitto armato come soluzione a veri o presunti problemi umanitari tiene conto di queste obiezioni nella misura in cui si muove sul piano delle strutture, cioè delle cose che concretamente possiamo fare per ridurre o eliminare il rischio di una guerra tra Stati, indipendentemente dalle risposte che si danno alle due domande formulate sopra. La ricerca di strategie per una pace possibile non implica quindi una presa di posizione assoluta o una dichiarazione di fede nella bontà dell'uomo, bensì coincide con la messa in evidenza delle alternative che rendono la guerra meno necessaria di quanto gli interventisti umanitari vogliono farci credere. -> Educazione alla nonviolenza


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