segnalazioni / reviews

...non è un disco facile, né semplice, né accomodante. anzi, potenzialmente è un disco disturbante, irritante ma di sicuro geniale. ed è un disco importante. uno di quelli di fronte ai quali è necessario mettere in atto le diverse tecniche di confronto: l'ascolto puro e semplice, la comprensione, l'assimilazione, la digestione e infine la fruizione. è un'opera unitaria che ispirandosi al libro tibetano dei morti, rende omaggio in forma poetica "alle vittime del petrolkimico". il vinile contemporaneamente oggetto di culto, utilizzato per l'ascolto della musica e il divertimento, e il vinile come strumento di morte. immaginerete certo che partendo da questi presupposti l'album non possa essere di quelli da "ascoltiamolo in sottofondo". no, silenzio religioso e partecipiamo al rito. almeno la prima volta. che se poi ci si avvicina nel modo giusto si scopre che alessandro monti e kevin hewick hanno fatto le cose proprio per bene, fino a confezionare un'opera importante. la strumentazione spesso è essenziale: un mandolino elettrico o acustico, un basso, qualche tastiera e, a volte, una chitarra elettrica o acustica. da questa musica sospesa, scabra, impalpabile e incorporea nasce l'attenzione e la partecipazione emotiva al racconto. muovendosi tra questi due estremi (l'opera di denuncia e il tema maestro trattato) gli unfolk riescono invece a produrre un insieme di canzoni di buon livello che non creano un clima funereo attorno alle esecuzioni, come forse il titolo del disco e gli scheletri riportati in copertina potevano fare supporre. la gentilezza dei toni e della musica, la capacità del porgere e la grazia, anche verbale, dell'intero lavoro (che è completamente in inglese, i brani in italiano che vedete nella scaletta sono solo strumentali) contribuiscono a creare un clima intenso e soffuso, adatto per la liturgia. né alessandro monti né hewick sono dei ragazzini: entrambi raggiungono i cinquant'anni: si sono conosciuti nel 2006, ai tempi del primo lavoro degli unfolk e sono rimasti in contatto via social network per tutto questo tempo. al momento di registrare unfolk 2, monti ha chiesto ad hewick di scrivergli le liriche per un paio di pezzi, basati sulla vicenda del petrolchimico (anzi "petrolkimico", come è scritto sul libretto). il progetto è successivamente lievitato per stadi successivi, fino ad arrivare alle dimensioni di un concept album. ed è, se vogliamo, impressionante, come un inglese sia riuscito a trovare le parole per una tragedia tutta italiana. canzoni di denuncia ma anche musica "strana", da ascoltare e meditare, ottenuta con pochissime cose: spesso un basso e un mandolino e una voce carismatica. questo incubo adesso assume la dimensione di un disco, un disco concettuale che parla di rifiuti tossici, di profitto sulla pelle dei lavoratori, in un clima musicale da dopobomba. uno degli album più significativi, più toccanti, più violenti e delicati che mi sia toccato ascoltare e che mi abbia toccato ascoltando. non per tutti. ma a chi piacerà piacerà molto... [bielle.org]

…la collaborazione tra gli unfolk del mandolinista monti (con musicisti di pregio quali baldan, masi, de zorzi) e kevin hewick (voce leggendaria per i cultori della factory e prima wave uk), nata da reciproca stima e assoluta sintonia, ha fruttato un concept sul tema doloroso, che tocca da vicino il gruppo veneto, delle tante morti per veleni del petrolchimico di marghera. il cantautore affronta la materia con gran sensibilità in dieci vibranti canzoni avant-pop che rivaleggiano, per fine scrittura, con sei strumentali tra folk, elettronica ed echi world-prog. oltre la rabbia, consapevole che "non ci sarà pace se non c'è perdono", il lavoro riflette anche su come il vinile/disco (derivato del petrolio) possa mutarsi in motivo di gioia. ottima confezione ricca di note e suono smagliante... [rumore]

…thanks to the wonders of modern technology no-one one listens to albums anymore. the ease with which people can access songs and download songs has destroyed people’s attention span and rendered the idea of the album as a complete body of work almost entirely obsolete. or at least, this is what the music industry types like to tell us. it’s one of the many horror stories that are linked with the digital music age. yet this is a week in which joanna newsom and the knife release multiple cd concept records to uproarious acclaim, and here we have an album comes along with not one, but two concepts tying the whole thing together. with a title as heavy as “the venetian book of the dead”, you know there’ll be some learning involved. a collaboration between the unfolk collective of italy and leicester born factory records alumnus kevin hewick, “the venetian book of the dead” deals with the industrial disasters that occurred in vinyl factories in venice in the seventies and eighties, which saw many workers and citizens die from cancer. the album also addresses the idea of vinyl as musical entertainment, as opposed to the cause of human tragedy. two somewhat heavy concepts for the price of one; at times they make for a challenging listen, but it’s one that is ultimately rewarding. “the radioactive man” opens our story with its descriptions of factory workers and “what they’d touched and what they’d breathed had woken cancers from their sleep” and the protagonist's family will “get as infected as i am”. it’s far from cheery stuff and sets the rest of the record’s mood (…). musically, most of “the venetian book of the dead” stays within a certain set of parameters, somewhere between the post-rock meets folk of a silver mount zion and the indie rock with additional electronic flourishes of radiohead. unfolk utilise their small collection of instruments to great effect. the majority of songs feature little more than mandolin, electric bass and some keyboard swells, though at times strings and electric guitar are thrown into the mix. regardless of instrumentation, unfolk always display a remarkable amount of restraint, always seeming willing to hold back where most bands would let go. this less is more approach creates a very sparse and eerie soundscape, invoking images of abandoned factories and long forgotten about machinery, which is no doubt the idea. the idea of producing a concept album about industrial fallout in a time when substance in records is scarce is a brave one. whilst the lyrics may seem a little clunky at times and lack a degree of subtlety that might be a little more appropriate, and even though it clocks in at over an our long, “the venetian book of the dead” is a challenging record. it’s also one that challenges the listener, and engages them. it requires repeated listeners and ultimately reveals itself to be a worthwhile, rewarding piece of work… [drowned in sound] 

...quest’omaggio alle vittime del cvm ha avuto una lavorazione lunga, tre anni, doveva essere un disco strumentale ed è diventato un album di canzoni. altri, trattando in musica un tema così forte, la vicenda del petrolchimico di marghera, avrebbero usato stridori industriali, elettronica bruta, drones isolazionisti, dark ambient. chissà. monti invece prende la strada del songwriting, d’una limpidezza brillante e quasi surreale, che a tratti ricorda nello stile e nella grana acustico-estetica, ad esempio gli arpeggi del suo mandolino, le lucciole elettroniche di riccardo de zorzi, i rem in versione sepolcrale (“early grave”, “a limited edition of one”). questa sintesi di folk politico (“cancer of the conscience”) e scenari futuribili (la chitarra frippiana di bob brain in “destinazione astrale”) non poteva trovare voce più adatta di quella di hewick, compagno di lavoro di martin hannett alla factory records, personaggio in mezzo tra il cantautorato e la new wave. un timbro caldo, che riesce ad essere declamatorio e lirico. un memoriale-denuncia partecipato da molti artisti (gigi masin, romina salvadori, alex masi, bebo baldan, adriano clera, halo xvi, mono-drone, i kar) penetrante in ogni sua sfumatura stilistica (l’eco di “tutte le cose lasciate in sospeso” è la memoria dei cari, il basso di “natura distorta” è il senso del titolo). e forse è anche merito di questo respiro collettivo se una simile ode rock non sia mesta, anzi faccia alzare lo sguardo oltre l’orizzonte tenendo desto lo spirito fino alla fine... [blow up]

...italian band unfolk, led by mandolinist and bass guitarist alessandro monti, release their second album “the venetian book of the dead” in february 2010, a collaboration with uk songwriter kevin hewick, best known for being on the early factory records roster. the album is inspired by the tragedy of the workers who were exposed to deadly chemicals in the venice/mestre vinyl/plastics factories. despite this difficult subject matter, the album is ultimately an unlifting affirmation of the human spirit... [stratosphere]

...la morte nel porto industriale di fronte a venezia ti sbrana il fegato, sotto forma di cancro del criminale profitto economico. il tumore maligno del petrolchimico di marghera che ha ucciso dagli anni '70 ai '90 tanti dei suoi operai, "uomini radioattivi" con le loro famiglie. a questa tragedia hanno guardato alessandro monti e kevin hewick per scrivere il "libro veneziano dei morti". sedici tracce in cui le musiche di monti, dirette verso un post-rock alla mogwai, incontrano il canto di un interprete delle esperienze nella factory. è un documento drammatico ma mai depressivo. un concept bello e importante di "canzoni di protesta del ventunesimo  secolo"… [ritual]

...two somewhat heavy concepts for the price of one; at times they make for a challenging listen, but it’s one that is ultimately rewarding… [stagedive]

…nato sull’asse italia-inghilterra, “the venetian book of the dead” è il frutto degli sforzi congiunti del produttore/musicista veneto alessandro monti e di kevin hewick, cantautore britannico che in passato ha fatto parte del roster di etichette storiche come factory, cherry red e les disques du crepuscule. affiancati da un discreto numero di collaboratori (tra cui segnaliamo romina salvadori, già voce degli estasia), i due hanno dato vita a un concept album ispirato alle tante, troppe morti causate tra gli anni 70 e 80 nel veneziano dalle scellerate politiche (anti)ambientali delle industrie petrolchimiche. un atto di accusa importante dal punto di vista concettuale, certo, ma anche supportato da un notevole spessore artistico, che nell’arco di dieci canzoni vere e proprie e sei strumentali si snoda su intrecci elettroacustici oscuri e affascinanti, ballate a metà strada tra il folk e il pop-rock meno allineato, improvvisazioni di matrice ambiental-sperimentale e lievi manipolazioni elettroniche. con raffinatezza plettri e archi si incontrano con batteria, percussioni ed effetti sintetici, mentre la voce disegna melodie malinconiche ma non troppo opprimenti, finendo per ricordare in certi frangenti david sylvian. un lavoro ambizioso, sicuramente, e forse un tantino troppo lungo, ma toccante e nel complesso pienamente riuscito. importante, sotto tutti i punti di vista… [il mucchio]

…”the venetian book of the dead” is a remarkable anglo-italian collaboration based on a true story. an unusual concept album about vinyl as musical entertainment, as opposed to vinyl as human tragedy, the music and lyrics are inspired by industrial disasters in the venice area during the 1970s and 1980s, when many workers and citizens alike died of cancer as a result of corporate decisions. this second unfolk release is a departure from its more folk-oriented debut, mixing electronica and lyrical acoustic arrangements with beguiling and unusual song-structures, sometimes based on free improvisation. featuring ten modern protest songs and six haunting instrumentals, the album has been mastered by jon astley (led zeppelin, the who etc.) and comes in a beautiful limited edition gatefold cover… [cerysmatic factory]

…una chiamata alla memoria del dramma industriale di porto marghera segna il ritorno del collettivo unfolk in una speciale cooperazione con kevin hewick, vecchia volpe del roster factory. proprio quest’ultimo, fulminato emotivamente dal disastro del petrolchimico, è il firmatario di tutte le novelle contenute in “the venetian book of the dead”. un lavoro il cui concept è, diciamolo, un pugno nello stomaco: opporre l’idea di vinile come forma d’intrattenimento alla sostanza madre dello stesso, il pvc, che respirato insieme ai fumi di altri elementi chimici fu causa scatenante del disastro lagunare. le parole amare di kevin descrivono in partenza stati insostenibili di sofferenza, individuale e collettiva: “…earning a living that way / was no way to live / he’d shower and change / before he went home / but kids still called him radioactive…”; “…in the waters of the black tar lagoon / how much has been pumped in there? / no one knows…”. si mutano in canti di denuncia da scagliare sull’indifferenza perpetrata dal potere industriale, tuttora vigente: “…death factory cover up killers / but lives are worth nothing to the cover up killers / we know something that we won’t tell…”; “…going up / floor by floor / higher than the truth / higher than the law / we like to hide things in the mist…”. col calare della notte diventano sinonimo di purezza, guadando il fiume dell’ingiustizia attraverso serene tentazioni oniriche: “…you and i, let’s dance together / through the night of mystery / the moon has turned the water silver / black water has turned into silver / come to the bay with me..”. poi c’è la musica. di certo la ricchezza di collaboratori di cui si nutre “the venetian book of the dead” è basilare nella realizzazione di un impianto poliglotta. una serie di arrangiamenti in cui la forma ballata ottiene libera scelta di esibirsi con slanci cosmici modello hugh hopper (“the radioactive man”) oppure scendere di tono per una tornata d’intimità secondo grigiastre grafie crescentiane (“black tar lagoon”); si sposta tra un milieu desertico alla woven hand (“the cover up”) acquistando subito dopo le fattezze dell’innocenza neofolk (“early grave”); libera l’anima con voli pindarici nel blues dopo un principio bucolico (“a limited edition of one”); crea vincoli sintetici facendo breccia nella new-wave (“someone is always screwing someone”); e mira negli ultimi capitoli a esplorare gli anfratti tradizionali in terra d’albione (“cancer of the coscience”, “the wave that speeds to shore”). svestiti della voce, i lasciti strumentali suonano come i più avventurosi: ligi a una morale minimalista nei pattern di “cicatrici del tempo”, leggermente stridenti nella sonicyouthiana -al ralenti- “dust to dust”, cuciti a pezzetti da una crasi glitch in “trasferible”… e ancora misticamente progressivi nel viaggio verso una kosmica “destinazione astrale”... [sands zine]

…dieci moderne protest songs e sei interludi strumentali avvolti in un packaging di una bellezza e ricercatezza unica con copertina cartonata e immagine presa dall’”ecce homo” di delvaux. si presenta così il comeback di uno dei progetti più oscuri e trasversali del panorama italiano. unfolk, termine eterodosso che un paio d’anni addietro dava il nome al primo disco di alessandro monti e che ora, sulla scia di quel che successe con carla bozulich / evangelista, si trasforma in moniker a sé stante. quasi come una calamita unfolk attira a sé, oltre al succitato capopopolo, anche kevin hewick, misconosciuto artista del primo post-punk inglese e cantante dal pathos inimmaginabile, e una moltitudine di artisti e musicisti (gigi masin, bebo baldan, riccardo de zorzi, ecc.). tuxedomoon e current 93, experimental-folk sui generis e elettronica bislacca, free-prog canterburiano e wave coltissima, musica etimologicamente industriale e emotivamente ricercata. genericamente, e in misure variabili e umorali, è ciò che si può rintracciare nel libro veneziano dei morti, sorta di bardo thodol della città lagunare. “the venetian book of the dead” è infatti un concept che sotto le spoglie gentili di una musica elegante e raffinatissima, in alcuni tratti elegiaca come può essere quella di mr. tibet, trattiene una natura forte, pregna di odore di morte. centrale nelle liriche è la denuncia sociale legata alle vicende del petrolchimico di marghera: le malefatte di chi impunemente dirigeva quel luogo e il silenzio che ha accompagnato, vera e propria colonna sonora di un universo in disfacimento, le molte morti succedutesi in zona. unfolk propone dunque un modo, ormai quasi dimenticato, di coniugare impegno civile e musica, mettendo la seconda al servizio del primo per poter oltre che dilettare anche risvegliare qualche coscienza assopita. nello stesso tempo chi vorrà approfondire la storia dietro questo concept scoprirà che è un sentito, appassionato “tributo alla città, ai lavoratori e ai cittadini scomparsi e all’amato vinile”… [sentireascoltare]

…come legare esoterismo e protesta sociale. ce l'avevano fatta - a loro modo, s'intende - i variopinti residenti di haight-ashbury dalle colonne del san francisco oracle, con le loro visioni di un pentagono malefico da far levitare. ci riesce alessandro monti nel suo nuovo progetto "the venetian book of the dead". il libro veneziano dei morti è il secondo capitolo di un viaggio che unfolk compie tra musica sperimentale e mistero, tra buone vibrazioni e il risveglio di una coscienza sopita per troppo tempo. se quella coscienza con il primo unfolk si rianimava dall'intorpidimento e acquisiva nuova luce grazie ad una sintesi "east-west", ad un collegamento tra rock, folk, psichedelia, minimalismo ed esotismo, il passaggio successivo ne sublima la miscela e la porta di fronte alla propria responsabilità. perché chi ha sensibilità e ha varcato la soglia percepisce in modo più lampante le contraddizioni e i misfatti dell'esistente. è il caso di porto marghera e del petrolchimico: anzi, "petrolkimiko" per citare il lavoro di bettin e le vergognose morti nelle fabbriche che producevano cvm/pvc, alle quali monti dedica il disco. dopo aver incontrato il musicista inglese kevin hewick, il veneziano ha elaborato il nuovo lavoro in coppia, aprendolo ad altri ospiti (alex masi, gigi masin, adriano clera etc.). "venetian book" va assorbito come un unico, intenso e inesorabile flusso sonoro, che abbraccia l'elettronica tedesca ("tutte le cose lasciate in sospeso", il riferimento a gottsching in "black tar lagoon", l'estasi di "destinazione astrale") e i raga post-moderni ("the cover up"), la ballata ipnotica e increspata di elettricità ("radioactive man", "a limited edition of one") e una sorta di pop-rock esotico e maliardo ("bedroom discoteque"). alla dimensione "folk-oriented" dell'esordio, unfolk risponde con un'esplorazione, attraversando un territorio in cui fripp e harrison, roedelius e l'incredible string band vanno a braccetto, incontrando il laboratorio art-rock alla centrozoon in "someone is always screwing someone" e "forgive". una viscerale denuncia civile, che passa attraverso la forma enigmatica di un melange musicale di alto profilo. un'opera sui generis e affascinante, che merita estrema attenzione… [movimenti prog]

... è la storia dell'impegno e dell'amore, della consapevolezza e della passione, della pietà e della bellezza. questo è "the venetian book of the dead", il secondo progetto degli unfolk capitanati da alessandro monti con la partecipazione di kevin hewick (proprio quello della factory records). il libro veneziano dei morti nasce dal disastro ambientale provocato dallo stabilimento industriale di porto marghera che, negli anni '70-'80 con la produzione di cvm / pvc ha provocato un numero di morti insopportabili, tra operai e cittadini, di cancro. da veneziano alessandro monti si sente chiamato in causa, difende ed espone la città per quella che realmente è diventata; per un senso di giustizia e per un bisogno di memoria. se a questo aggiungiamo la sua passione per il punk e per la canzone di protesta degli anni '60, tutto torna. di muovono tra il folk rock e l'elettronica con un piglio decisamente kraut e minimale, vedi tuxedomoon, sun ra, centrozoon, i can e svariati altri percorsi. un lavoro a due che si è sposato con la bravura di alex masi, gigi masin, adriano clera, riccardo de zorzi, etc. confezione magnetica per la rivisitazione dell'ecce homo di paul delvaux, libretto con i testi in italiano e inglese e una bibliografia scelta per documentarsi sul petrolkimiko, tanto per citare il titolo di un importante libro di gianfranco bettin. un disco alto che si lascia ascoltare e che merita attenzione... [beat bop a lula]

 

 

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