paola sabbatani e roberto bartoli
"non posso riposare"
   

imola – “vino rosso, ovviamente, e buon cibo e tanta musica alla festa degli anarchici”. così hanno titolato i giornali locali per raccontare il 25 aprile libertario e antifascista organizzato dai gruppi anarchici imolesi e dal circolo culturale autogestito peacemaker. e in effetti vino rosso, buon cibo e ottima musica non sono affatto mancati in questa giornata... [da umanità nova, 6.5.2007]

questa storia ha molti inizi, sparsi indietro nel tempo. non ce la faccio a raccontarli tutti, contemporaneamente: ne scrivo qui, brevemente, solo uno o due. uno è una telefonata: all’inizio dell’estate scorsa un bel giorno mi chiama roberto bartoli per un nuovo progetto a cui sta lavorando assieme a paola sabbatani, una musicista, cantante e attrice faentina. poco prima, il 25 aprile, c’era stata una manifestazione anarchica ad imola e un loro concerto, e… non gli do neanche la possibilità di accennarmi ai particolari (ho collaborato nel 2004 alla realizzazione, con la rivista aparte, di un suo precedente lavoro “anche se solo un miraggio…“, un’esperienza davvero positiva ed appagante) e gli dico subito che certo, vorrei esserci in mezzo, mi piacerebbe dare una mano. ci sono, ecco. un sì incondizionato: conosco bene roberto, abbiamo amici e compagni comuni, l’ho incontrato e visto/sentito suonare più volte, non conosco paola ma a questo si può rimediare. so comunque cosa aspettarmi: come minimo sarebbe andata bene come l’altra volta, con un po’ di fortuna magari sarebbe andata anche meglio.

paola sabbatani è una che ha iniziato a cantare in strada accompagnandosi coi bassi della fisarmonica, un’offerta semplice di canzoni popolari d’una volta, la voce che sa di pane e odora di frutta estiva, voce che via via s’è fatta sempre più personale e colorata e forte. tanto per dare un’idea degli intrecci, paola ha curato per anni le musiche degli allestimenti del teatro due mondi di faenza ed ha fatto anche parte della pneumatica emiliano romagnola assieme a stefano zuffi del canzoniere delle lame; è uscito di recente il suo album da solista “vite andate”, arrangiato da stefano fariselli ed in cui suonano tra gli altri anche roberto bartoli, patrizio fariselli (sì, proprio quello degli area!) e stefano delvecchio dei bevano est.
roberto bartoli, contrabbassista eccellente, ha solida formazione classica e jazz ma riesce meravigliosamente a evadere dalle gabbie dei generi espressivi e delle classificazioni frettolose imprimendo voce caratterizzante al suo strumento: uno stile personale e multicolore il suo, che attraversa mille luoghi e mille spazi senza mai abbandonare le radici, anzi rinnovandole come in una primavera senza fine.

con paola, roberto, tommaso marabini, claudio mazzolani e altri compagni imolesi ci si è incontrati a fine luglio, un fitto scambio di posta e telefonate finché un paio di settimane fa mi ritrovo a ricevere un pacchetto e a correre ad ascoltare queste registrazioni, trasformate nel frattempo nel cd “non posso riposare”. non c’è niente da fare, il destino riserva sempre delle sorprese. e stavolta la sorpresa per me è stata grande, enorme, una sorpresa bella, bellissima. canzoni vive, pulsanti, date ufficialmente per morte e sepolte e che invece...
   
per trovare un altro inizio di questa storia bisogna cercare in quel 25 aprile che roberto bartoli, nella sua telefonata di inizio estate, aveva appena cominciato a raccontarmi. eppure questo non è l’unico passo indietro che bisogna fare: “…per raccontare che cos’è una lotta sociale bisogna tornare indietro, per riuscire a raccontare quello che è la realtà anche oggi” – così claudio mazzolani nel filmato, senza la sua testardaggine “non posso riposare” sarebbe certamente diverso o probabilmente ...non sarebbe: “la cosa straordinaria è che tutte le persone che erano lì al concerto sono rimaste colpite in una maniera incredibile, oserei dire quasi fino alla commozione. non ci abbiamo pensato sopra neanche per un secondo. quelle belle sensazioni di quel 25 aprile: perché dovevano essere perse?”.
un altro inizio, anzi altri inizi ancora (e non solo: qui ci sono altri intrecci, altre storie, correnti sotterranee che abbracciano e trasportano altrove) si possono ritrovare in “non possono riposare”, il filmato/dvd che viaggia a braccetto con il cd e che parte raccontandone qualche frammento per poi mostrare immagini che il suono e la voce da soli non descrivono. una specie di documentario tra virgolette, realizzato da mauro bartoli e giangiacomo de stefano, alla fine del quale si avverte la sensazione urgente che bisogna far qualcosa, che bisogna muoversi e partecipare perché il discorso non si interrompa.

chiamare questo “un cd e basta” è profondamente ingiusto e riduttivo, perché qui dentro, dentro alle motivazioni che reggono il tutto, dentro a questi cerchietti di plastica dall’anima digitale, assieme alla musica e alle immagini sono racchiuse delle convinzioni, delle speranze. tutto il contrario del folklore immaginario televisivo: qui si parla e si canta innanzitutto di gente come me e come te. di ragazzi che hanno vent’anni, di gente che ha passato vent’anni chiusa in un buco con le inferriate alla finestra. una serie lunga di presenze, ciascuna canzone un ritratto forte: dal canto d’amore per una donna scomparsa alla folla che chiede pane vittima della violenza armata, dalla solitudine del carcere alla tristezza di un giovane disoccupato che si trasforma lentamente e inesorabilmente in disperazione. i luoghi sono campi, piazze di paese, prigioni, la riva del mare, una casa d’esilio. aria che si conosce, voci familiari, gesti e facce che si conoscono, specchi dell’anima. un passato che ritorna, anzi che sembra non si sia mai mosso dalla porta di casa. 
 
     
“…questi brani hanno un contenuto molto forte, tutti” – spiega roberto bartoli – “proprio perché ripropongono dei valori che sono la solidarietà, la fratellanza universale, l’antimilitarismo, il “contro le guerre”, il socialismo delle origini che diceva tutti i diritti uguali per tutti gli uomini. riproporre questi antichi e fondamentali valori ci sembra un’operazione per nulla banale, per nulla scontata”.
“…questi brani” – dice paola sabbatani – “è come se dicessero: noi non possiamo smettere di essere cantati e di essere suonati perché siamo nati per delle esigenze che sono state disattese. c’è ancora tanto bisogno di denunciare e di cantare. secondo me queste canzoni sono ancora in grado di commuovere”.

“non posso riposare” è prendere in mano una dozzina di canzoni e accarezzarle con rispetto come fossero dei fiori, così che si schiudano: certo così non si cambia faccia alla storia, ma la si riesce a sorprendere in un’espressione nascosta, quasi privata, distante da quel ritratto ufficiale esposto nelle sale del potere. un ritratto sopra il quale paola e roberto, che hanno significativamente dedicato questo loro lavoro a caterina bueno, non hanno scarabocchiato i baffi ma recato un danno ben maggiore: hanno cambiato quel ghigno in un sacrilego sorriso che sarà molto difficile lavare via.

 





"là dove senti cantare, fermati. gli uomini malvagi non hanno canzoni"
[leopold sedar senghor]

alla radice della trasmissione orale, il canto è stato l'asse portante della vita sociale delle piccole comunità, per diventare poi un formidabile strumento di comunicazione: questo lavoro vuole essere un'istantanea, il più possibile a 360°, di quello straordinario e fondamentale fenomeno che è stato ed è, da sempre, il canto popolare. un'istantanea trasversale attraverso le tematiche più ricorrenti: la lotta, il lavoro, l'amore.
per un'operazione del genere il materiale si presentava pressoché sconfinato, per cui, da musicisti, abbiamo scelto quei brani che, oltre ad avere un testo ed un contenuto interessanti, fossero per noi stimolanti dal punto di vista melodico ed armonico: due parametri musicali che, per nostra formazione culturale, riteniamo molto importanti.
compaiono quindi, tra le altre, la struggente "non potho reposare" che dà il titolo al disco e che è probabilmente la serenata sarda più famosa nel mondo, la rielaborazione di un canto delle mondine "prezioso" per essere la prima stesura originale del ben più famoso "bella ciao" dei partigiani, alcuni brani storici tratti dal repertorio anarchico come "quando l'anarchia verrà" e "dimmi bel giovane", da cui emerge chiaramente come la gente comune, i lavoratori, il quarto stato, non siano qui visti come masse da indottrinare bensì come soggetti di un processo che essi stessi comprende, e poi "o gorizia tu sei maledetta" e "todo cambia", che affrontano rispettivamente i temi dell'antimilitarismo e dell'immutabilità dei sentimenti veri, come l'amore e la solidarietà per la propria gente.
dal punto di vista strettamente musicale, la nostra attenzione si è concentrata principalmente sul rispetto per la "semplicità" originale propria del linguaggio e della melodia del canto popolare, sulla ricerca del suono, che, a nostro parere, doveva necessariamente essere il più possibile fedele alla natura acustica del contrabbasso e della voce umana, e infine sull'interpretazione.
in controtendenza con i tempi, riteniamo questo un lavoro di attualità: perché è, in primis e soprattutto, una riproposizione di contenuti e valori importanti e fondamentali quali la solidarietà, la fratellanza universale, l'antimilitarismo, la lotta a tutte le tirannie ed alla miseria, la lotta per uguali diritti per tutti, l'amore.
(paola sabbatani, roberto bartoli)

   


disegni di davide reviati
foto di maria iuliano

se c'è un filo che collega queste canzoni d'amore, di lotta e d'anarchia è la fiducia nella parola, nelle parole che portano con sé idee, passioni. la "semplicità" che paola sabbatani e roberto bartoli evocano nell'introduzione si risolve in una limpida, costante attenzione, rispetto vorrei dire, per testi che hanno almeno quarant'anni di vita, eppure non hanno perso forza né ragioni per circolare. è ben vero che nel 2007 un rincaro del pane non provoca una sommossa come quella del 1898. ma ancora più vere sono oggi la precarietà del futuro ("nina"), l'assurdità e la disumanità di ogni guerra ("gorizia"), la voglia di un mondo migliore ("dimmi bel giovane"). lo stesso rispetto viene riservato alla musica, con scelte coraggiose (il contrabbasso abbinato alla canzone popolare, da solo o con la fisarmonica). ecco perché questi canti non hanno addosso la polvere degli scavi, ma una nuda, netta, forte (talora dolcissima) carica di verità e di vita. il tempo che è passato non passerà mai, aveva ragione endrigo. e di riposare non si parla proprio. (gianni mura)

   
   

 
 
paola sabbatani   marco pandin e claudio mazzolani (editrice bruno alpini), foto di roberta grandi
 
 

 

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