segnalazioni / reviews

...c'è una tradizione trasversale in italia di gruppi dai suoni e temi non omologati -dai detonazione ai gronge ai panico- colpevolmente sprofondati nel dimenticatoio, come afferma stefano giaccone nelle note di copertina (del '93, ma sembrano appena scritte) di questa ristampa promossa dalla piccola (non)etichetta curata da marco pandin. tra tali formazioni non conformi, qualcuno forse ricorda i bellunesi detriti e l'omonimo debutto (all'epoca, frazzi su queste pagine ne disse un gran bene): chitarra (egle), basso (hector) e batteria (mauro) più due voci e due sax intercambiabili (belfa e tomaj), per un album di immediato impatto, mistura selvaggia e istintiva di lucida rabbia hc punk, riff pesanti e guizzi avant-rock, scabre memorie free-jazz, con testi pregnanti e concreti (precariato del lavoro, della politica, dei sentimenti) resi da rissose affabulazioni vocali (per intendersi, c'è qualcosa del patafisico david thomas e del kamikaze stratos). pazientemente "ricostruito" da vinile da marco milanesio, con aggiunta di un brano d'epoca e quattro tracce dal vivo (da sentire il geniale contorsionismo di "la lega"), un lavoro che testimonia la possibilità, ieri come oggi, di imprimere su nastro suoni realmente liberi da pastoie e mode, inquieti e scomodi soprattutto veri... [rumore]

...i quindici anni passati dalla pubblicazione di questo disco, ora fortunatamente salvato dall'oblio e riproposto da stella*nera, nulla hanno tolto alle ragioni della musica fremente contenuta, e arricchita anzi da qualche brano dal vivo. commenta nelle splendide note stefano giaccone che "detriti" "ferisce come il vetro nascosto nell'erba malata delle stazioni di benzina. un grido di furore che mette in conto albert ayler come l'hardcore disarticolato lanciato a chi vuole ascoltarlo, senza belletti e senza carinerie "indie", sulla scia per intendersi di detonazione e franti. ritmiche schiumanti, voci da cuore in gola, testi come rasoiate... [il manifesto]

...del catalogo stella*nera si è dato conto nei mesi passati e mi vengono in mente i bei dischi di erik friedlander con roberto dani, quello di alessandro monti, della pangolin orchestra. produzioni di segno musicale differente accomunate da idee condivise (non diciamo ideologia perché costei è il luogo dove le idee leucemizzano). alla stessa linea di pensiero appartiene detriti, quintetto dalla formula musicale irregolare, che fa perno sul punk-core ma si sbilancia in continuazione tra jazz, improvvisazione, noise con grande prestanza atletica (cosa diversa dal virtuosismo). l'album è un'antologia ricostruttiva che si muove tra il 1993 e il 1994, roba di quasi tre lustri fa ma per umore/rumore attualissima. voce di popolo dice che "li si ama o li si odia". ebbene, è facile amarli, perlomeno da queste parti. amiamo il vitale contrasto l'asciutta poetica quartinternazionalista e l'affilata durezza della musica sempre imprevedibile nei tempi, nelle scansioni ritmiche, negli impasti strumentali. infatti, se ne fregano del rischio della retorica. ed i suoni, la musica, tagliano per sguincio quel territorio dove convivono discharge e i primi pere ubu ("la lega"), il punk urlato/ritmato dal sax, la schitarrata e l'improvvisazione, la velocità e il sanguinamento ispirato. detriti, che inceppano con imprevedibile provocazione i meccanismi dell'egualitarismo crozziano... [blow up]

...buco nero. attimo di fissione disastrata e disastrosa. uscito nel 1993, "detriti" (rimpolpato in questa edizione con quattro rabbrividenti tracce dal vivo), è stato di grazia, istante; attimo e travalico. nodo, abbandono, perdita e frustrazione, comunque imprescindibile; adesso come allora. guazzabuglio furioso e complesso, elastico ed urticante. dall'hardcore al free; dal free al fatto carne. una stagione vissuta alla massima velocità, con strazio; rabbiosamente. brani come proiettili, genialmente vivi ed ingarbugliati, vicini, terrigni, un'artigliar continuo d'unghie spezzate. ghigni, smorfie, fierezza nell'esser diversi. diciotto zuffe furibonde con la voce ad inveire angolarmente, soffocare, dibattersi, la ritmica metronomica che si perde e ritrova di continuo, le chitarre ad incendiarsi ad intermittenza, fiati; sfiati e marce in salita. intarsio sul legno, fatto di scalpello, muscolo e sudore. prove, sala fredda, pubblico attonito; fissione primigenia appunto. suono che aggredisce il quotidiano analizzando le proprie quattro mura, non cerca di evadere; mira all'uscita principale. le rasoiate di "posseduto", il suo senso di caduta. il deragliamento senza controllo iniziale di "svanito". la grande madre hardcore sbeffeggiata. meat puppets da tragedia greca. franti in fase convulsiva. la parte live scruta da vicino la carica angolare di queste note, gli spazi si dilatano, le traiettorie si fanno opprimenti e singolarmente arty, spigoli e lividi emergono dal buio. swans, radicalismi emotivamente industrial, nevrosi ubuiane. storie, fallimenti, memoria, strade, case, silenzi, dubbi. non dimenticare; non dimenticarsi. snodo; nulla. il paradiso non esiste. qui; ora come prima. obbligatorio l'ascolto. terribilmente necessario... [sands zine]

...stella nera, la non-etichetta discografica anarchica, ripropone un debut album d'eccellenza, "detriti", uscito nel 1993 e qui rimasterizzato e allungato con quattro brani dal vivo. formazione a cinque con i due frontman che oltre a cantare si cimentano anche col sax. la musica che suonano è un bizzarro hardcore con testi in italiano nello stile degli anni '90, attitudine vicina anche ad altre glorie nostrane come gronge, i refuse it!, teatro quotidiano, plasticost. si sfiora il punk per arrivare a composizioni parecchio evolute come quelle dei soliti naked city ("western" n'è l'esempio più chiaro), i testi urlati con veemenza torturano l'ascoltatore. una band di sostanza con riff quadrati e sezione ritmica granitica ma che in ogni pezzo non dimentica una dose di violenza schizoide parecchio gradita. stampo teatrale, il loro è un punk cabaret innaffiato in litri di cabernet. band chiaramente politica: si parla di modelli di sfruttamento, lacerazione e sfacelo etico, di guerra, di lavoro e di poesia. uno scritto/presentazione del 1993 di stefano giaccone, contenuto nel libretto, ne fa mirabilmente il punto. bella operazione per un disco certamente da recuperare, da riascoltare, da non dimenticare. la chitarra di egle sommacal, qui alla sua prima prova discografica, poi avrebbe marchiato a fuoco gli anni '90 con i massimo volume... [rockit]

...riemerge dall'oblio grazie a stella*nera il primo album omonimo dei detriti. uscito in origine nel 1993 e qui ampliato con quattro pezzi registrati dal vivo nel 1994 e 1995, il disco è un'atipica e valida incursione nei territori ostici ma stimolanti della musica free form. composizioni sofferte e impegnate come potevano esserlo, seppure in una forma diversa, quelle dei franti, e non è casuale che a firmare le note di presentazione sia stefano giaccone... [il mucchio]

...dopo dieci anni di silenzio, riecco i detriti. a due lustri dall'ultima prova alla cayenna di feltre, tomaj e ettore rifanno sentire quel sound originale fatto di sperimentazione, ricerca e studio. tanta la strada fatta dai due musicisti singolarmente, con laboratori e percorsi propri per molto tempo intimi, quasi segreti. una ricerca portata avanti in solitudine da ettore che, dopo aver seguito musicisti di levatura internazionale (amy denio, jessica lurie, leonid soybelman) ha continuato a sperimentare da solo nella sua stanza con il fedelissimo basso. così anche per tomaj, che non ha mai lasciato il percorso di ricerca e studio della voce, un percorso che lo ha portato anche a buttare un occhio al teatro e a scoprire la passione per la lettura, che diventa una forma d'espressione importante, cercata, voluta e praticata. il sound è sempre quello dei vecchi detriti, quell'inconfondibile miscela di suoni che ne ha fatto una cult band. i detriti sono sempre i detriti, anche se la formazione si è contratta e l'innocenza giovanile ha lasciato spazio ad una maturità diversa... [corriere delle alpi]
 

     

...serata musicale a sociologia occupata (...). sul palco i bellunesi detriti. coraggiosi oltre limite, si presentano con due bassi e batteria, senza chitarre. ritmi spezzati, voce al limite della rottura. un set bruciante... [l'adige 27.2.1990]

...i detriti nascono nel 1984 come trio, voce (tomaj), basso (mario) e batteria (mauro) e continuando con questa formazione per alcuni anni. proseguono poi in forma di duo (tomaj e mauro) fino al dicembre 1989, quando hector entra come bassista. nell'aprile 1990 la band registra una prima versione di “e allora” per la compilation benefit pro-palestina “shabab”, prodotta dall'etichetta blu bus di aosta e uscita nel 1991. nell'estate dello stesso anno si uniscono belfa (sax) ed egle (chitarra), e inizia quel lavoro documentato nell'album appena uscito, nel quale vengono ripresi e riarrangiati brani del primo periodo (“i popi”, “a loro”, “posto da terremoti”, “o. p. c. d.”), un brano ideato come strumentale per due bassi (“western”) oltre a nuovi pezzi messi insieme in sala prove, dove l'improvvisazione assume per i detriti un ruolo fondamentale. tra il 1991 e oggi il gruppo ha suonato in centri sociali e situazioni alternative a rovereto, firenze, bologna, in cadore e nel feltrino, oltre ai periodici concerti nella cayenna autogestita, che tra l'altro permette al gruppo di avere una sala prove. l'album "detriti" nasce come coproduzione tra i detriti, blu bus di aosta e mister x di torino. le foto di copertina sono di vito vecellio, mentre la voce recitante in alcuni brani e la presentazione interna portano la firma di stefano giaccone dei franti... [corriere delle alpi 18.10.1993]

...“detriti” è il titolo del primo lp dell'omonimo gruppo bellunese che verrà presentato stasera alla cayenna outgestita di via fusinato a feltre. si tratta di un disco che raccoglie cinque anni di lavoro della formazione, una musica che può definirsi quanto mai originale ed eclettica, di sicuro interesse e passionalità hard-core... [il gazzettino, 15.10.1993]

...il grido dei detriti: un lungo viaggio nel cuore liberato. la piccola sala concerti dell'ubu roi di grea si riempie di gente e di fumo: sul palco, le luci colorate fisse illuminano belfa (sax), egle (chitarra), hector (basso), mauro (batteria) e tomaj, il cantante. è sabato e sono le undici di sera: i detriti prendono per mano fans e decine di spettatori, proiettandoli in un frenetico, gridato, sofferto viaggio al centro della notte, in un percorso di scavo fra le macerie di "un'epoca dove i futuri sono finiti", dove non è "mai arrivato il treno delle grandi attese", alla ricerca di un "filo rosso", di una vena d'oro perduta che è simbolo della capacità di esprimere se stessi. l'unico simbolo superstite peraltro, in una cultura, in una musica che alla decodificazione di messaggi programmati preferisce la presentazione di stati d'animo e esperienze personali: gesti, parole, suono sono così il risultato di individualità liberate nello spazio delle interpretazioni soggettive, dei significati non uniformati. come salta la gente davanti al palco, così saltano le barriere fra creatori e fruitori di un prodotto che non ha etichette: tutti, indistintamente, viaggiano fianco a fianco, ma in modo assolutamente autonomo, individuale, verso quei "valichi non turisticizzati" che, oltre tutti i conformismi, rappresentano la frontiera della nuova utopia (?) o dell'ultimo residuo di esistenza che vale la pena di vivere. le tappe del cammino sono scandite dalle taglienti tonalità punk hard jazz, dalle grida angoscianti di tomaj e portano i nomi delle canzoni che compongono l'lp del gruppo: "svanito" (svanito / in uno / degli ultimi / giorni), "odia e ama" (la realtà / è vera / è falsa / ma non finzione), "io rifiuto" (io / rifiuto / così / scelgo / il resto / di niente / sembra / che scappi / da me), "western" (disfatta, la vita / cade a pezzi / davanti agli occhi / gemiti e risa / trascinati in acqua / dalla corrente)... finisce la musica e si esce in un'altra notte. attenzione: dietro l'angolo, qualcuno potrebbe ancora credere di trovare il treno delle grandi attese... [corriere delle alpi 9.11.1993]

...uno dei pochi dischi che fuoriescono veramente da qualsiasi schema precostituito, concettuale e musicale, ascoltati in questi anni di debilitazione culturale. anni in cui la creazione si è irrigidita intorno ad una consueta e levigata maniera di comunicare, dove (quasi) chiunque ha perso il coraggio, la forza di urlare, dove ognuno accetta tutto e niente nello steso istante rendendo, così, sterile ogni tentativo di "inseminazione"... la copertina è splendida: mostra la diga del vajont, la più alta diga ad arco del mondo, tristemente nota per la strage del 1963, una catastrofe annunciata da specifici segnali premonitori gravemente ignorati, dove hanno perso la vita 2200 persone, dove forse l'impianto era un affare troppo grande per tener conto dei reali rischi che comportava; l'enel è stata messa sotto processo ed ancora oggi il comune di erto e casso è in attesa della sentenza della corte di cassazione, mentre l'enel stessa nel 1992 ha riproposto il riutilizzo dell'impianto! per saperne di più, consigliamo il libro "vajont 1963" di tina merlin di cui i detriti propongono una "sintesi della sintesi" sulla copertina stessa del disco... [notiziario del centro di documentazione di pistoia]

...detriti è il nome dietro al quale si celano cinque ragazzi veneti che danno vita a un suono a dir poco sconcertante. due sax, hardcore, free-jazz, una ritmica spezzata ed irritante, citazioni dotte, una splendida grafica di copertina. ostico e minaccioso, come ogni atto di denuncia che si rispetti, "detriti" è lontano da certo rassicurante rock alternativo tanto quanto lo è dalle intransigenze di facciata che talvolta rendono folcloristica e poco credibile la posizione di chi si dice contro. è il nevrotico manifesto della nuova opposizione, quella vera... [rumore, novembre 1993]
 

     

...i detriti che fanno rumore: "manifesto della nuova opposizione, quella vera". la nota rivista specializzata loda l'album del gruppo bellunese. l'esordio in casa, alla cayenna outgestita di feltre, era stato salutato con entusiasmo. ma ora per "detriti", primo album dell'onomimo gruppo bellunese-feltrino-cadorino, sono arrivati gli esami più severi, quelli della critica specializzata. e subito va segnato un primo "punto a favore" per il difficile ma coinvolgente lavoro di belfa, hector, tomaj, egle e mauro: la recensione, quanto mai positiva, sulle pagine di rumore, mensile che insieme con rockerilla e il mucchio selvaggio è tra i più accreditati in italia per quel che riguarda rock, underground e suoni indipendenti. nell'ultimo numero rumore "ascolta" il disco dei detriti e ne riferisce in termini quanto mai positivi: tre pallini neri (il massimo), e soprattutto un giudizio che non risparmia elogi: "ostico e minaccioso –scrive luca frazzi– come ogni atto di denuncia che si rispetti, "detriti" è lontano da certo rassicurante rock alternativo tanto quanto lo è dalle intransigenze di facciata che talvolta rendono folcloristica e poco credibile la posizione di chi si dice contro. è il nevrotico manifesto della nuova opposizione, quella vera". per i cinque detriti, che di recente hanno tenuto un bel live all'ubu roi di domegge, in cadore, una soddisfazione e un invito a non mollare... [corriere delle alpi, novembre 1993]

...esordio fenomenale per i detriti. i paragoni che vengono subito in mente sono i primissimi meat puppets con la loro follia esplosiva, ed i naked city per la presenza di ben due sax allucina(n)ti. ascolti più attenti rivelano poi innegabili affinità con i peggio punx degli esordi ("io rifiuto" basti ad esempio). ma le parole migliori per spiegare questo progetto musicale le ha già usate stefano giaccone nelle note di copertina: "un lavoro che prosegue la magnifica teoria di gruppi frequentatori di valichi non turisticizzati come detonazione, i refuse it!, plasticost, gronge, franti, teatro quotidiano e panico". detto questo, detto tutto (e osate qualcosa di diverso una volta tanto!)... [dynamo, novembre 1993]

...qualcosa di tagliente e spigoloso: sono i detriti prodotti dalla frantumazione del free-jazz mescolato all'hardcore meno canonico, ad opera di cinque ragazzi dallo spirito assai libero. non è semplice ascoltare questo disco perché l'umore di chi suona cambia continuamente spiazzando chi è al di qua dell'impianto stereo. i testi non ci aiutano molto: "disfatta la vita cade a pezzi davanti agli occhi gemiti e risa trascinati in acqua dalla corrente" (da "western") oppure: "a loro non serve la tua morte guarderanno la tua tomba allo stesso modo con la stessa invidia" (da "a loro"). schegge di john zorn e meat puppets brillano fra i detriti, questo forse lo sapevate già, ma con estremo piacere ho visto anche aleggiare quello spiritello alato chiamato i refuse it! che anni or sono agitava stefano bettini aka il generale. non vi sto parlando di musicisti che copiano da altri musicisti ma di un simile approccio alla musica, fatto di pazzia/genialità. assolutamente da ascoltare... [rockerilla, novembre 1993]

...una notte in cayenna travolti dal sound dei detriti. i detriti sono attivi a fasi alterne da molto tempo nel panorama provinciale: il loro progetto musicale risale già ai primi anni ottanta e ha trovato un assetto e una fisionomia più definita tra l'88 e l'89. il lavoro di mixaggio del nuovo album (interamente autoprodotto con la collaborazione della blu bus di aosta e mister x di torino) si è concluso a settembre del '93: in tutto tredici pezzi che tomaj, voce della band, non esita a definire “all'altezza”. sul genere i detriti non si sbilanciano: “siamo contrari alle etichette e ad ogni forma di omologazione”, spiega ancora tomaj, che ricorda più volentieri come lui, belfa (sax e voce), egle (chitarra), ettore (basso) e mauro (batteria) debbano molto agli spazi e alla disponibilità offerta dalla cayenna. per saperne di più, quindi, sarà utile fare un salto nel locale feltrino, e ascoltare in anteprima il risultato di un lavoro di ricerca che dura da oltre dieci anni e che sicuramente non manca di originalità... [corriere delle alpi 15.10.1994]
 

     

...vajont, suoni e detriti: il primo vinile del gruppo underground bellunese. è stato presentato sabato scorso alla cayenna autogestita di feltre l'album prodotto dalla “storica” band di belfa, egle, hector, mauro e tomaj. tredici brani mozzafiato e senza etichette e una copertina dedicata a longarone “strage madre di tutte le stragi italiane”. la copertina, in bianconero con pochi spruzzi di rosso e verde, è bellissima. sulla front-side dilaga la diga del vajont, vertiginosa, con la sua bombatura impossibile; e dall'altra parte restano le macerie, la terra precipitata nell'invaso, i blocchi di cemento disarmato, un'inquietante passerella lanciata nel vuoto verso la nebbia. “detriti”, il primo disco dell'omonimo gruppo bellunese-feltrino-cadorino presentato l'altra sera alla cayenna autogestita di feltre, ufficialmente non parla del disastro di longarone: nessuno dei tredici brani inseriti nell'album infatti fa riferimento esplicito a quell'ottobre del 1963. eppure il vajont, nel sound dei detriti, c'è tutto, quasi fosse un “codice genetico” -umano prima e musicale poi- della band. “io ero piccolo, avevo due anni quando è franata la montagna” racconta tomaj, voce del gruppo. “allora non capivo bene cosa fosse successo, i miei genitori mi tranquilizzavano. ma quel rumore, quel vento caldo, quella paura mi è rimasta dentro, è un'esperienza fondante di tutta la mia vita”. e allora, se anche di vajont esplicitamente non si parla, il vajont diventa -nel suono e nei testi dei detriti- il simbolo di un mondo sbagliato contro il quale bisogna opporre la massima resistenza. “la strage di longarone è la “madre” di tutte le stragi di stato”, ricorda tomaj. e, soprattutto, la diga è l'esempio lampante del fallimento di una società tecnocratica e selvaggiamente capitalista. è una critica radicale quella che i detriti muovono all'assetto dell'occidente contemporaneo, coerente con quella logica “da centro sociale” che tanto fa parlare di sé in questi giorni. proprio dai centri sociali, lo ricordiamo (bologna, milano, roma e napoli in testa) è nato il più profondo rinnovamento musicale degli ultimi anni. ma se i detriti certamente si inseriscono in questa rete culturale e di rapporti (“tutte quelle affinità per le quali / nelle quali esistiamo” scrivono) è altrettanto certo che la loro proposta musicale è tra le più “dure e pure” in circolazione. a cominciare, soltanto per fare un esempio, dalla scelta “di povertà”, in base alla quale il primo album (...) verrà diffuso (“per scelta”, come ci tiene a precisare ettore valmassoi, bassista della band) a prezzo politico attraverso canali non commerciali e situazioni che vanno contro o fuori la logica di mercato a cominciare, per l'appunto, dai centri sociali. la “lotta di liberazione” da ogni forma di omologazione e di etichetta diventa il segno principale della musica dei detriti: un prodotto di difficilissima definizione, che procede nella massima libertà creativa pur lungo un percorso complessivo coerente e ben identificabile. dal primo (“svanito”) all'ultimo brano infatti (“a loro”) il disco segue un filo musicale omogeneo (noise? hard core? o nulla di tutto questo?) con atmosfere tese, a volte strazianti, ritmi mozzafiato e “ossessioni” elettroniche metropolitane, cucite insieme dalla voce “urlata” e quasi “indigesta” di tomaj. all'interno di questo torrente incalzante, però, si aprono spesso imprevedibili squarci quasi di free jazz, con i sax di belfa e tomaj che regalano alcuni dei momenti più sorprendenti (e forse anche più convincenti) dell'intero lp. i pezzi (tredici in tutto) sono molto brevi, da un minimo di 35 secondi a un massimo di 3' 21”: lampi che colpiscono e stordiscono, e che consigliano un ascolto “sparato” nell'ambiente giusto. sulle doti tecniche dei detriti non serve spendere troppe parole: la chitarra di egle sommacal (animatore del sound bolognese e protagonista dei formidabili massimo volume) è una garanzia, così come la sezione ritmica (hector e mauro, basso e batteria) non lascia tregua pur senza rinunciare alla fantasia. tra i brani segnaliamo la mitica “i popi” (un loro vecchio pezzo riarrangiato per l'occasione), “svanito”, che apre l'album e che si fa ricordare sin dopo il primo ascolto. “la mona”, invece, pezzo di chiusura della prima facciata, è l'unica concessione al “divertissement” con canto popolare di montagna (galline e bambine) e relative volgarità coperte da opportuno bip. il debutto, sabato alla cayenna autogestita, è stato un successo, favorito anche dal “gioco in casa”. il vinile però non è davvero male e nel giro dell'underground farà parlare di sé. anche, ce lo auguriamo, fuori dalle nostre terre, trasportato lungo le sottilissime e imperscrutabili reti della musica (e della cultura) indipendente... [corriere delle alpi 18.10.1993]
 

     

 


 

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