"Nell'epoca in cui gli uomini cercavano e vivevano secondo assoluti e le donne non esistevano, ma esistevano solo i loro organi genitali, i pirati erano dei rinnegati. Quando salirono al potere gli uomini d'affari e gli artisti, secondo le necessità del capitalismo maturo, il desiderio dell'uomo per l'assoluto si esaurì. Divenne nostalgia e sentimentalismo. La storia di questo secolo può essere vista come lotta tra il modello o il desiderio di una realtà assoluta e un modello o riconoscimento della realtà come indeterminata."

Kathy Acker

 

Questa lucida considerazione di una delle più significative scrittrici dell'avanguardia americana degli ultimi anni, ci introduce immediatamente al tema di maggiore interesse di questo sito, ossia l'indagine e la riflessione sul mutamento del significato dell'utopia, dalla quale dovrebbe sortire una ricerca che vorremmo condurre con tutti gli strumenti a nostra disposizione: dalla letteratura al fumetto, dal saggio filosofico alla chiaccherata via mail.
Tale esigenza è avvertita non solo per la ricaduta immediatamente politica del concetto di utopia, ma anche in virtù del fatto che esso è diventato, con il passare degli anni, uno strumento indispensabile attraverso il quale leggere la realtà del proprio tempo attraverso il coinvolgimento degli ambiti più disparati della conoscenza umana, dalla filosofia alla storia, dalla sociologia all'antropologia; tuttavia un'analisi di questo tipo non può essere condotta senza assumere alcune coordinate dalle quali prendere le mosse.
Innanzitutto va ricordato che secondo la definizione classica, vorremmo dire ottocentesca, l'utopia assume come determinante per la propria esistenza l'impossibilità di darsi effettivamente come reale, rimanendo sempre sullo sfondo di un orizzonte il cui raggiungimento viene costantemente procrastinato proprio in virtù degli sforzi realizzati per il suo conseguimento. Questa situazione paradossale riposa fondamentalmente sulla dicotomia tra l'essere, cioè il mondo reale costantemente perfettibile e quindi indeterminato (come suggerisce Katy Acker), e dover essere, vale a dire un ideale regolativo che pretende di essere valido universalmente e assolutamente per tutti. Nell'ansia di realizzazione di tale istanza utopica si può incorrere in due rischi difficilmente eludibili: nel peggiore dei casi essa si traduce nella ricerca di una universalità quantitativa, massificante, il "valido per tutti" diventa una condizione solo numerica; l'altro pericolo ricorrente nel tentativo di realizzazione, di mondanizzazione, è la perdita della pretesa assolutezza che si frantuma nell'incessante divenire particolare, troppo instabile e dis/articolato per potersi assumere il compito dell'attuazione di una pretesa assoluta, che per mantenersi tale vuole essere realizzata senza compromessi, nella sua pienezza.
Alla fine, l'assolutezza dell'utopia, il suo essere non solo fuori dallo spazio (ou/tòpos), ma anche dal tempo (ou/krònos), ne divengono non solo le condizioni di esistenza, ma anche gli ostacoli principali alla realizzazione.
Di fronte a questo impasse come reagisce la cultura contemporanea? Fondamentalmente disconoscendo il valore totalizzante e totalitario dell'utopia di stampo ottocentesco, non solo rifiutandola, ma motivando tale scelta sul riconoscimento che essa altro non è che la mistificazione di una situazione particolare assunta come valida per tutti: esemplarmente rappresentata dagli uomini d'affari...degli artisti che si comportano come uomini d'affari. Assistiamo ad una dis/integrazione dell'utopia e dell'ansia di assolutezza che l'aveva animata rendendola possibile e ancora di più pensabile, ma non effettivamente reale.
Eppure questo non significa la morte dell'utopia. Il fatto che essa manchi come punto di riferimento cui volgere i propri sforzi, magari verso un futuro lontano che ci faccia scordare le "brutture" e le contraddizioni del presente, ci segnala paradossalmente che sono proprio questi gli spunti da cui dobbiamo prendere le mosse se vogliamo usare la nostra utopia come strumento regolativo e non come via di fuga dalla nostra incapacità di pensare/agire. L'utopia e il paradosso della sua irrealtà diventano parte integrante del nostro immaginario compromesso non più come sogno o futuribile aspettativa di liberazione, ma come parte integrante della realtà contro la quale l'assolutezza dell'utopia è andata ad infrangersi nel suo tentativo di realizzazione, che ne ha svelato l'unilateralità travestita da pretesa assoluta. L'ou/tòpos e l'ou/krònos diventano il nostro presente, un presente che si fa carico dell'assoluto non più pensato come "valido per tutti", ma come unico punto di riferimento dell'agire politico e del pensare, questo non significa che il "qui ed ora" si chiuda attorno a noi come un cerchio magico dal quale non sia possibile evadere, come eterno presente di favola o sogno, bensì esso è lo spunto per tematizzare, nella propria in(de)finitezza, tutti gli spazi di libertà possibili, tutte le vie di fuga che da esso sono costruibili e percorribili.
Questo non significa che l'utopia abbia perso la sua assolutezza, essa esiste ma non più al di fuori della nostra capacità di azione, in un futuro ipotetico che il progresso ci farà cadere tra le mani, vive "in negativo" nella nostra capacità di attuazione immediata della quotidianità, nella possibilità di lettura dei paradossi che ci coinvolgono e ci impongono delle scelte attuali
E' per questo motivo che, ad esempio nell'ambito della letteratura di genere, il "qui e ora" assume in questi ultimi anni un'importanza mai vista prima, non più come momento che disattende sempre la realizzazione dell'utopia, ma in virtù della possibilità di tematizzare, a partire dalla realtà attuale, quanto di non ancora realizzato essa nasconde ed è in grado di esprimere.
Queste considerazioni comunque non esplicano completamente la modificazione del concetto di utopia e di quello di assoluto ad esso collegato, nemmeno risolvono il problema della risoluzione del dover essere nel momento presente secondo lo schema della progettualità politica ed intellettuale della (post)modernità ed è per questo che si è avvertità come impellente la necessità di coinvolgere quante più persone possibili in questa riflessione, avvalendosi delle forme di comunicazione più varie che passano dai racconti alle classiche elucubrazioni filosofico/letterarie. A questo scopo si è pensato di strutturare il sito secondo due sezioni: una comprende i racconti degli scrittori che hanno partecipato allo speciale dedicato al 2068, pubblicato sui numeri 245, 246, 247 (Maggio, Giugno, Luglio) di A/rivista anarchica, ai quali in futuro se ne aggiungeranno di nuovi, essendo questa la parte del sito dedicata alla narrativa e all'espressione letteraria in genere. La seconda parte dello spazio a disposizione sarà dedicata alla raccolta di materiali vari: bibliografie e filmografie, interviste, riedizioni di articoli "storici" delle pubblicazioni fantascientifiche italiane e non, più innumerevoli altre pubblicazioni.
Speriamo, in questo modo, di realizzare uno spazio di ricerca e riflessione comune su queste ed altre tematiche connesse, con l'augurio che ci sia molto di cui parlare e su cui riflettere.


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